In un numero speciale dedicato alla popolazione umana la rivista Science forniva, nel 2011, un saggio molto eloquente del modo convenzionale di affrontare il tema. Tale modo convenzionale è anche autoreferenzialmente definito "scientifico". L'autorevolezza della fonte è un sigillo definitivo. Nell'editoriale di presentazione del numero, scritto da Ronald Lee e intitolato Outlook on population growth, bastano due periodi per illustrare quello che voglio dire:
La realtà pratica è che le proiezioni demografiche ignorano in gran parte i vincoli economici e relativi alle risorse, per concentrarsi invece su altre forze che modellano la fertilità e mortalità, forze che sono debolmente legate ai cambiamenti economici e ambientali. E 'davvero difficile capire in quale altro modo procedere, dato il nostro stato attuale di comprensione.
Stupendo, siccome non ci capiamo granché (del resto la demografia è, accademicamente parlando, contigua alle scuole di economia che operano la stessa separazione fra uomo e ambiente) facciamo come se l'uomo esistesse in una realtà separata. E infatti l'editoriale continua:
A quanto pare, a partire dalla Rivoluzione Industriale la crescita della popolazione si è realizzata principalmente in una sorta di zona neutra in cui il progresso tecnologico, la crescita economica, e le migrazioni hanno permesso di crescere alla popolazione , evitando quella sorta di feedback negativo che avrebbe sostanzialmente alterato la fertilità o la mortalità.
Bravo! E non ti viene in mente che, data la situazione: cambiamenti climatici, picco del petrolio, riduzione delle risorse minerarie, progressivo consumo delle terre fertili e riduzione drammatica della biodiversità, crisi idrica ecc, questa "sorta di zona neutra" stia diventando un ricordo del passato? Non sarebbe il caso di fare un passettino avanti e magari guardare a come i vecchi neo-malthusiani del Club di Roma avevano affrontato il problema demografico, da un punto di vista scientifico, già 40 anni fà? Troppo rischioso, anche nell'Accademia trionfa l'effetto gregge, esporsi con tesi eccessivamente eretiche non è innovativo è semplicemente troppo rischioso per la carriera.
Ricordo che Luigi De Marchi definiva i demografi accademici dei "cacastecchi" che penso possa essere tradotto come "stitici". Mai un volo di fantasia, nemmeno minimo, restiamo grigiamente incollati al convenzionale. Anche sull'autorevole rivista scientifica Science.