giovedì 22 maggio 2014

Uomo si è spento all'età di 408 anni.

(Tradotto e modificato da Jacopo Simonetta, da un originale di M. Greer (Man, conqueror of Nature, dead at 408, The Archdruid Report 4/12/2013).

Questa mattina il medico legale ha confermato che Uomo, l’auto-rappresentazione astratta dell’umanità, è morto lunedì mattina per un’overdose di petrolio all'età di 408 anni. L’annuncio ufficiale conferma quindi le voci circa l’abuso di sostanze stupefacenti e non smentisce le indiscrezioni secondo cui potrebbe trattarsi di un suicidio. La magistratura ha aperto un’inchiesta ed ha disposto l’autopsia. Accertamenti sono in corso anche da parte della Guardia di Finanza e della Polizia Postale in merito alle proprietà ed alle recenti attività del defunto.

In attesa della conclusione delle indagini, i più stretti collaboratori di Uomo non si capacitano dell’accaduto. Il suo migliore amico e confidente, Technology, ritiene che si sia trattato di suicidio.
Sicuro, a Uomo piaceva la bella vita” ha detto durante la conferenza stampa di martedì scorso, “ed era uno che si faceva forte, ma non era tipo da perdere il controllo. No, sono sicuro che lo ha fatto intenzionalmente. Giusto un paio di settimane fa eravamo sulla terrazza di casa sua e guardavamo la Luna ricordando il viaggio che ci facemmo insieme e lui mi ha detto: - Sai, Tech, quelli si che erano bei tempi! Mi chiedo se ci capiterà mai più una cosa del genere. — Notai che aveva gli occhi carichi di lacrime e non era cosa da lui! Anche se, bisogna dire, negli ultimi anni era sempre più spesso di umore triste e nostalgico. Io ho provato a consolarlo parlandogli di andare su Marte eccetera, ed abbiamo parlato ancora a lungo, ma vedevo che il suo cuore era altrove.”
Altre fonti riportano però una storia molto diversa:
Era terribile” racconta un dipendente che ha chiesto di mantenere l’anonimato “ Si faceva ogni giorno di più: mattina, pomeriggio e sera, e quando non si sentiva abbastanza gasato si sparava un’altra dose di qualunque cosa. Avreste dovuto sentirlo quando urlava come un pazzo e tirava pugni nel muro! Tutti noi del personale di casa sapevamo che prima o poi sarebbe successo. Le quantità che si faceva erano incredibili e mica solo di petrolio!. Alcuni dei suoi amici gli dicevano di smettere, o perlomeno di diminuire, ma lui non ascoltava più nessuno.”

Una tumultuosa saga familiare

E’ sempre stato di indole rivoluzionaria” ha dichiarato Clio, la Musa della Storia, in un’intervista esclusiva rilasciataci nel suo ufficio sul Parnaso “In parte questo è dovuto all'ambiente in cui è nato e cresciuto. Se ricordate, nacque in casa di Sir Francis Bacon ed è cresciuto in mezzo alle persone più colte, brillanti ed influenti del tempo. Un immagine astratta dell’umanità cresciuta in mezzo a gente come quella non poteva che tentare imprese senza precedenti, sapete. Comunque, io credo che ci sia anche una forte influenza familiare. Ai suoi tempi, anche suo padre era stato un bell’originale!”
In effetti, anche se oggi è completamente dimenticato, il padre di Uomo, Servodidio, l’auto-rappresentazione astratta dell’umanità medioevale europea, è stato anche lui un personaggio a modo suo mediatico.
Star di un dramma morale tremendamente popolare ai suoi tempi, fu infatti il soggetto di un’infinità di biografie e di scandali. Servodidio era però nato in un tugurio in aperta campagna, dal fortuito incontro tra una gentildonna romana ridotta in miseria dal fisco imperiale e di un guerriero germano in fuga dalle invasioni unne. Per secoli aveva dovuto lavorare e combattere duramente, solo per sopravvivere, ma col tempo era riuscito a diventare una delle figure più ricche ed influenti della storia europea e mondiale. Più tardi l’arteriosclerosi lo indementì progressivamente, ma lasciò comunque un immenso patrimonio a suo figlio, malgrado fossero in disaccordo su tutto. Per tutto il diciassettesimo ed il diciottesimo secolo le furiose liti fra padre e figlio hanno riempito la stampa di storie interessanti e gustosi pettegolezzi, praticamente fino alla rottura definitiva a proposito della teoria dell’evoluzione di Darwin, nel 1859. Ma già a quell'epoca Uomo era saldamente al timone dei popoli europei, tanto che quando Servodidio morì se ne accorse una sola persona,  un certo Fredich Nietzsche che  avvertì l’odore del cadavere abbandonato insepolto!
Neanche suo figlio, Uomo, ci aveva fatto caso, forse perché all'epoca già cominciava ad avere dei problemi con l’abuso di droghe.
All’inizio usava solo il carbone” ricorda Technology “Beh, a dire il vero ci facevamo entrambi col carbone. Era la moda in quei giorni. Costava poco, era di buona qualità e potevi averne quanto ne volevi; tutti lo usavano negli ambienti “cool”. Ricordo un viaggio che facemmo insieme su una delle prime locomotive. Faceva trenta chilometri all’ora e ci sembrava correre come il vento! Come eravamo spensierati a quei tempi!
Clio conferma questa affermazione. “Io credo che Uomo non avesse la minima idea del tunnel in cui si stava infilando col carbone” ha dichiarato “Il carbone era popolare nei circoli d’avanguardia e nessuno sapeva gran che circa le conseguenze nel tempo dell’abuso di combustibili fossili. Fu proprio allora che iniziò la sua campagna per la conquista di Natura e si rese conto molto presto che non poteva tenere il confronto senza un sostegno artificiale. Fu li che cominciò la vera tragedia.”


La conquista di Natura.

Quando esattamente Uomo decise di conquistare Natura rimane una questione aperta. “Ogni biografo ha la suo opinione in proposito” ci ha spiegato Clio, mostrando una libreria intera di volumi sulla controversa carriera di Uomo “Alcuni fanno risalire questa decisione all'influenza del suo padre adottivo, Bacone, o degli altri maestri che ebbe da bambino. Altri sostengono che l’ispirazione gli venne dalla folla in mezzo a cui visse fra il diciottesimo ed il diciannovesimo secolo. Lui era solito dire che si trattava di un affare di famiglia e che tutti i suoi antenati avevano avuto questa idea, fin dall'età della pietra, e che lui era solamente quello che ci era finalmente riuscito.   Ma non ci sono prove in tal senso. Prendete la carriera di Servodidio, ad esempio, e troverete che aveva sempre avuto molto senso pratico ed attenzione ai suoi interessi, ma il suo scopo ultimo era la salvezza dell’anima, non la conquista di Natura.”
La faccenda di conquistare Natura?” ha detto Technology “Ci pensava fin da quando eravamo giovani. Io credo che abbia preso l’idea dal padre adottivo o da uno degli amici di lui, ma per quanto ne so non ci ha dato peso fino a non molto tempo fa. Posso sbagliami, sapete, non lo conoscevo molto bene a quei tempi. Io mi occupavo delle mie cose, sapete, costruire chiese e fortezze, mulini, robe così. Non ci siamo frequentati molto finquando non siamo stati entrambi coinvolti nella faccenda del carbone. Ci facevamo entrambi, ma io ero anche procacciatore e lo potevo fornire più a buon mercato di chiunque altro perché ero l’unico che sapeva come usare il vapore; nessun’altro sapeva come fare. Per questo diventammo amici e ci siamo davvero divertiti un sacco insieme. E di tanto in tanto, quando era fatto ben bene, mi diceva che Natura doveva appartenergli e che un giorno o l’altro avrebbe arruolato un esercito per conquistarla.
A me non me ne sarebbe importato niente, se non fosse stato per gli affascinanti problemi tecnici che Uomo mi poneva. Aveva capito come facevo a procurare tanto carbone così a buon mercato ed aveva intuito che poteva usare gli stessi aggeggi nella sua guerra contro Natura. Per me, sapete, era solo un gioco. Per Natura o contro Natura, non mi fa differenza: A me, datemi un problema difficile, lasciatemici lavorare e sono felice. Di tutto il resto non mi può fregar di meno
.”
Ma non era un gioco per lui. Mi pare che fosse il 1774 quando mi mise seriamente a lavoro sul suo progetto. Ricordo che cominciò ad arruolare dei mercenari e ad accumulare denaro ed attrezzature di ogni genere per la guerra. E voleva soprattutto armi da fuoco e macchine a vapore che erano il top dell’epoca. Così mi chiese di far funzionare fabbriche di ogni genere, ferrovie, navi a motore e tutto il resto. Già alcuni dei suoi avevano da tempo varcato il confine e preso parti di territorio, ma fu solo alla fine del diciottesimo secolo che l’invasione cominciò in modo massiccio e sistematico. A quei tempi eravamo spesso insieme in prima linea, in mezzo ai soldati che lui arringava parlandogli del glorioso futuro dell’umanità quando avesse conquistato Natura. Ed i soldati lo adoravano e subito davano di piglio agli strumenti ed alle armi e si lanciavano alla conquista di altri territori".


Gli anni del trionfo.

Fu nel 1859, ricorda Technology, che Uomo usò per la prima volta il petrolio. “Aveva appena avuto la sua lite più violenta con suo padre, a proposito di quel Darwin; in effetti da quella volta i due non si sono parlati mai più. E Uomo era ancora estremamente agitato quando venne a sapere che quel tale, Edwin Drake mi pare, aveva trovato in Pennsylvania qualcosa di ancora meglio del carbone. Naturalmente Uomo lo volle provare subito ed io anche e – Hey! – quella si che era roba! Continuammo ad usare il carbone, naturalmente, anche tanto e più tardi anche gas ed uranio, ma niente, assolutamente niente era come il petrolio!
Ma la cosa principale fu che Uomo capì che quello era esattamente ciò che gli serviva per completare la sua conquista. I suoi avevano già preso molto, allora, ma non tutto, forse nemmeno la metà e Uomo aveva problemi anche a controllare territori già conquistati. C’era guerriglia dietro le linee, e problemi di ogni tipo. Lui era sempre allo stato maggiore incitando i suoi ufficiali e pensando sempre a come fare a vincere la guerra una volta per tutte. “La devo avere Tech – mi diceva quando era stanco e si rilassava con una flebo di petrolio – Ho conquistato la distanza, la terra, la superficie del mare, ma non è abbastanza. Io voglio tutto!” E, sapete, ci è andato molto, molto vicino.”
Il petrolio era la chiave del successo – Spiega Clio – Non era solo Uomo a farsi di petrolio; tutti i suoi lo usavano e nei tempi brevi il petrolio è una droga incredibilmente potente: conferisce a chi lo usa un slancio ed un’energia che bisogna vedere per poterci credere!  Intere province di Natura che erano rimaste inespugnabili per un secolo caddero al primo attacco non appena i soldati di Uomo seppero come usare il petrolio".
Il risultato fu che intorno agli anni 1960 la conquista era praticamente completata. Restavano, solo dei presidi arroccati in zone particolarmente impervie ed un po’ di guerriglia partigiana, ma niente di preoccupante. Uomo ed i suoi erano convinti che, oramai, fosse questione di poco e che presto Natura sarebbe stata conquistata completamente e definitivamente.
Ma quello fu anche il periodo in cui tutti quegli anni di abuso di carbone, di petrolio e d’altre sostanze tossiche cominciarono a presentare il conto.


Gli anni del declino.

Non ricordo quando accadde esattamente – racconta Technology – ma ci fu una lite fra gli spacciatori. Quelli che avevano la roba migliore erano degli arabi che ad un certo punto si incazzarono e per un po’ smisero di venderlo. Così lui si rivolse ad altri, ma venne fuori che il tizio della Pennsylvania era fuori gioco da tempo e che anche i suoi amici del Texas e della California non ne avevano più abbastanza. Così Uomo andò in crisi d’astinenza. Che momenti! Lo portammo in ospedale ed il dottore lo spedì subito in riabilitazione".
I documenti del periodo della riabilitazione sono commoventi – ci ha detto Clio – Cominciava a disintossicarsi ed a convincersi che ridurre le dosi era cosa saggia da fare. Ma poi, alla prima difficoltà un po’ seria, ricominciava e dovevano riportarlo in ospedale. Intanto la guerra contro Natura andava peggio perché anche l’altra parte stava modernizzando le sue tattiche. Circolavano indiscrezioni su trattative per un cessate il fuoco, o addirittura per un trattato di pace fra lui e Natura.”
Quando andavo a trovarlo in clinica – narra Technology – era sempre stanco. Pareva vecchissimo, come suo padre che però era morto a più di 1.400 anni. Era anche depresso e parlava solo dei suoi malanni. Io credo che in quel periodo avrebbe potuto smettere, tirarsi fuori dalla droga e raddrizzare la sua vita. Davvero pensavo che avrebbe potuto farcela e per aiutarlo gli portavo dei pannelli solari, delle case passive, dei contraccettivi… giocattoli così, tanto per interessarlo a qualcos'altro che il petrolio e la conquista.  Sembrava che gli piacessero e con gli altri amici eravamo pieni di speranza per lui; ma non andò così”.
Ricordo bene l’ultima volta che andai a trovarlo in riabilitazione. Mi dissero che se ne era andato, così corsi a casa sua e lo trovai circondato da un nugolo di prestigiatori che dicevano di aver trovato il modo di rendere inevitabile una crescita economica infinita. Lui era euforico, rideva e dava gran pacche sulle spalle a tutti, parlando come un fiume di grandi idee e di ancor più grandiosi progetti. Apparentemente era tornato quello di una volta, ma ricordo come fosse ieri lo sguardo di Scienza, che se ne stava sola in un angolo. “Che c’è Scienzy? Perché fai quell’aria da menagramo? “ Le chiesi. Io, lei e Uomo eravamo stati come fratelli per secoli. - Non lo vedi? - Mi rispose - non mi meraviglia, sei sempre stato un superficiale, ma ti dico che Uomo si è fritto il cervello. Quello che dicono quei tizi non ha senso e lui blatera per convincere sé stesso.- Mai parole mi fecero più male di quelle! Oh, certo, dopo abbiamo fatto ancora tante cose insieme a Scienzy, quando trovammo il Bosone, per esempio, che sballo! Una festa fantastica, ma qualcosa fra noi si era rotto per sempre ed infatti le cose cominciarono ad andare di male in peggio.”

Gli ultimi anni

Gli ultimi anni della carriera di Uomo come astrazione della razza umana furono travagliati.
Malgrado le armi sempre più potenti ed i soldati sempre più numerosi, la guerra contro Natura non andava bene.- Spiega Clio –Le truppe di Uomo controllavano tutti i territori principali e le città, ma c’erano rivolte ovunque. Batteri antibiotico-resistenti, erbe infestanti inattaccabili dai diserbanti, tempeste, terremoti e via di seguito. La battaglia di Fukushima, ad esempio, fu un disastro per Uomo".
 Il morale delle truppe era sempre più basso e molti non erano più tanto convinti di quel che facevano. C’erano anche diserzioni; gente che abbandonava il fronte, o addirittura che passava bellamente dall'altra parte. Quelli che restavano lo facevano per abitudine o, soprattutto, per soldi ed i soldi stavano diminuendo. Fra il costo della guerra, quello per controllare e continuamente fortificare il territorio, il folle tenore di vita di Uomo ed il costo esorbitante della sua droga, Uomo era in grossi problemi finanziari. Ci sono buoni motivi per ritenere che fu per fronteggiare queste spese che durante gli ultimi anni della sua vita Uomo finì coinvolto in una spirale di debiti e di truffe.
Nel frattempo, Uomo stava restando sempre più isolato. “Si accompagnava sempre più spesso a gente davvero losca, oppure a pazzi visionari, mentre aveva voltato le spalle alla maggior parte degli amici di un tempo – afferma l’anonima fonte citata sopra – Con Arte, Letteratura e Filosofia aveva già da tempo smesso di parlare perché gli ripetevano che doveva smettere di strafarsi. Ma anche con altri…. Ricordo l’ultima volta che Scienza venne a trovarlo. Era molto in ansia e voleva parlargli della situazione dell’atmosfera, ma lui la buttò letteralmente fuori di casa e le sbatté la porta in faccia urlando: - L’atmosfera è mia, cazzo! Ci faccio quel che cazzo mi pare con la mia roba, traditori voltagabbana! Questi vogliono tornare nelle caverne!” Poi ebbe un collasso e lo portammo a letto. Ultimamente scenate così erano diventate routine.
A quanto pare, l’ultimo a vedere vivo Uomo è stato il suo vecchio amico Technology. “ Sono andato a casa sua lunedì pomeriggio, ricorda, ci andavo molto spesso e si parlava del più e del meno. Quella volta cominciò a vaneggiare di supercomputers onniscienti, di corpi robotici immortali, di resurrezione dei morti sotto forma di softwhere e robe del genere.
“Ascolta Uomo, gli dissi, se ti interessa questa roba devi parlarne con Religione. Immortalità ,onniscienza, resurrezione ecc. sono il suo campo, non il mio. Ma avevano rotto da tempo e lui non ne voleva più sapere di lei. Così cambiò discorso e cominciò a lamentarsi che il petrolio che gli avevo portato dal North Dakota era un vero schifo. “Lo so bene, gli risposi, ma cosa vorresti che facessi? Io posso pomparti fuori quel che c’è, non quel che vorresti. Questa è la roba che rimane e se non ti piace faresti meglio a farti durare quel poco di brent che ancora rimane. Allora partì con una delle sue scenate lamentose. Mi disse che era colpa mia se il petrolio era sempre meno e sempre più cattivo, colpa mia se la guerra andava male, colpa mia se non avevamo conquistato Marte, e via di seguito. Quindi uscì sbattendosi dietro la porta e non lo ho più visto vivo. Avrei dovuto andargli dietro e parlargli; raccontargli un’altra favola sui viaggi interstellari o sulla macchina del tempo. Forse si sarebbe calmato e sarebbe ancora vivo. Ma in fondo per cosa? Che significato aveva più la vita per lui? A me manca il più grande amico di sempre, ma lui, forse, sta meglio adesso,”

Una travagliata eredità

L’improvvisa morte di Uomo lascia molte domande in sospeso.
Quando Servodidio morì di arteriosclerosi – Spiega Clio – Tutti sapevano chi ne avrebbe ereditato il ruolo. Anzi, già da molto tempo Uomo aveva sostituito suo padre nel ruolo di immagine idealizzata dell’umanità e ne gestiva la grande eredità. Invece Uomo è morto senza testamento e sono parecchi gli aspiranti alla successione. Inoltre, la sua eredità è nel caos più totale e ci vorranno decenni per capire se davvero ha lasciato qualcosa ed a chi”.
In attesa della conclusione delle indagini, l’Autorità Garante del Fato, Ananke, ha diramato un succinto comunicato stampa che riportiamo in integrale:
Prego tutti di accettare i sensi della mia simpatia per la tragica fine di Uomo, colui che avrebbe voluto conquistare la Natura. Colgo l’occasione per consigliare ai figli umani di Gaja di procedere alla scelta della loro prossima immagine collettiva in modo che risulti meno megalomane ed autodistruttiva”.
Una recente immagine di repertorio di Uomo

giovedì 15 maggio 2014

Oltre l'orlo dell'abisso.

Cari lettori di "Commenti" con il post di oggi spero che possa iniziare una proficua collaborazione con Jacopo Simonetta cui mi lega un'amicizia, ritrovata recentemente, che risale all'infanzia (mezzo secolo insomma). Le sue riflessioni politiche sono a mio parere molto centrate e aiutano a capire il momento che stiamo vivendo. Questo blog è sempre stato molto più politico che tecnico ed è per questo che il post di Jacopo non poteva che trovare piena accoglienza in questo blog. Jacopo ha pubblicato altri interventi interessanti sul blog di Ugo Bardi. Un saggio in quattro parti intitolato L’UNICITÀ DELLA SPECIE UMANA NE DETERMINA IL FATO? [qui trovate un addendum al saggio nel quale sono riportati i link alle quattro parti che consiglio di leggere in ordine]. Nell'articolo Sbirciare il futuro invece, Jacopo abbozzava le premesse economiche che portano all'articolo pubblicato qui oggi. Un articolo che tenta di uscire dalla dicotomia fra pessimismo e ottimismo per cercare di intravedere un cammino praticabile oltre l'orlo dell'abisso.
Buona lettura.

IL FALLIMENTO DEL MOVIMENTO AMBIENTALISTA.

di Jacopo Simonetta.

 
“Se il collasso è qualcosa, è un’immersione planetaria nel gorgo del paradosso.   Se non comprendiamo e rispettiamo il paradosso, finiremo a chiederci sempre le medesime domande sbagliate” (C. Baker 2013, Collapsing consciously).



In effetti, osservando la recente evoluzione della nostra società non si può evitare di notare l’emergere di una quantità incredibile di paradossi, uno dei quali è quello di cui vorrei qui occuparmi.  
Durante gli anni ’70 , quando la possibilità di un collasso socio-economico ed ambientale di scala globale era considerato uno scenario possibile nel giro di 50 o 100 anni, il movimento ambientalista era forte e sembrava capace di cambiare la storia del mondo.   Nelle sue infinite articolazioni, riusciva incidere in maniera marginale, ma avvertibile sulle decisioni politiche, almeno nei paesi occidentali dove esisteva una sostanziale libertà di stampa e di parola.
Oggi stiamo vivendo le prime avvisaglie di un collasso che appare forse mitigabile, ma oramai inevitabile nel giro probabilmente di 10 o 20 anni.    Dovrebbe essere il momento della rivincita: quello in cui al grido di “Lo avevamo detto” orde di ambientalisti si impongono finalmente nelle sedi del potere (governi e parlamenti, consigli di amministrazione, mass-media, ecc.), mentre accade esattamente il contrario.    Le associazioni storiche sopravvivono, i partiti “verdi” scompaiono, i pochi limiti legali e morali faticosamente posti alla distruzione del pianeta vengono man mano rimossi senza pudori.  
E’ chiaro che ogni situazione particolare ha la sua storia ed i suoi problemi, ma il declino dell’ambientalismo è un fenomeno globale e, dunque, deve anche avere delle cause globali, oltre a quelle che riguardano, invece, questa o quella organizzazione in particolare.
In qualità di veterano e superstite di questo movimento, mi sono posto alcune domande.  La prima:

C’è stato qualcosa di sbagliato alla radice del movimento?
Penso di si, ma non essendo un politologo, posso proporre solo delle riflessioni basate sull'esperienza personale.
Nel suo insieme, l’ambientalismo non ha saputo elaborare e divulgare un paradigma politico alternativo ai due che, all'epoca, si contendevano la scena: il liberalismo ed il socialismo.   Molto presto infatti, la maggior parte degli aderenti e delle organizzazioni ambientaliste si sono lasciate aspirare e stritolare nella dialettica destra-sinistra che nulla aveva a che fare con il cuore del problema.   In pratica, il movimento si è diviso fra coloro che hanno pensato che il sistema liberal-capitalista fosse sostanzialmente valido, salvo una serie di correzioni che dovevano esservi introdotte per garantire un adeguato livello di tutela ambientale.
Sull'altro fronte coloro che, viceversa, ritenevano che il modello socialista fosse in grado di assicurare pace e benessere ai popoli e, dunque, con alcune integrazioni potesse acquisire anche la capacità di frenare il degrado degli ecosistemi, l’esaurimento delle risorse ecc.
In pratica, da entrambe le parti si è pensato di migliorare quello che già era disponibile, anziché elaborare qualcosa di autenticamente originale.   Eppure, al di la dei parziali e limitati successi che entrambi gli schieramenti possono effettivamente rivendicare, non avrebbe dovuto volerci molto a capire che si trattava di una posizione perdente a priori.   Sia il capitalismo che il socialismo perseguono infatti il progresso indefinito della società.   La differenza fra di essi non è quindi negli scopi ultimi, ma su quali siano i mezzi migliori per perseguirli, quali i modi più efficaci per accelerare il progresso e come ripartirne i benefici frutti.  
Entrambi i filoni dell’ambientalismo, accettando e facendo proprio il corpus centrale delle due dottrine socio-economiche di rispettivo riferimento, necessariamente hanno fatto proprio il nucleo centrale che le accomuna: il Progresso.   Un archetipo, che si porta dietro un vasto corollario di conseguenze e che nessuna analisi dei fatti potrà mai scalfire in quanto si tratta, tipicamente, di un postulato pre-analitico (Daly, Ecological Economics 2004).  
A mio parere, era invece proprio l’archetipo del progresso che avrebbe dovuto essere messo in discussione, ma ciò avrebbe significato attaccare la radice stessa del pensiero moderno alla cui origine troviamo padri del calibro di Bacone, Galileo, Cartesio, Hobbes, Boyle, ecc.   Un filone di pensiero poi sviluppato dall'illuminismo e santificato da 2 secoli di scuola pubblica.   Difficile immaginare un compito più arduo.
Del resto, perfino nelle pagine della prima edizione dei “Limiti dello sviluppo” si leggeva tra le righe una diversa impostazione fra Donella e Denis Meadows; una diversità che si è andata poi palesando meglio nelle edizioni successive.   Il risultato finale del loro studio era infatti chiaro: qualunque risulti essere la dotazione di risorse del pianeta e qualunque sia il livello di tecnologia raggiungibile, il collasso del sistema sarà inevitabile ed il nostro destino tanto più fosco quanto più abbondanti saranno le risorse e potenti le tecnologie.   Unica via di uscita dalla trappola era fermare la crescita demografica e la crescita economica prima di raggiungere una soglia critica che non era definibile con certezza, ma che si sapeva non essere lontana.   Un messaggio chiaro che andava totalmente e direttamente contro l’intero apparato filosofico ed ideologico della “modernità”, chiudendo definitivamente con il mito delle “sorti magnifiche e progressive dell’umanità” (Leopardi, La Ginestra).  
Qualcosa di talmente forte che neppure tutti i membri del gruppo erano pronti ad accettarne le conseguenze, a cominciare dalla stessa Donella che volle mitigare il messaggio, lasciando aperta comunque la possibilità di un miglioramento qualitativo della vita degli uomini.   In fondo, si disse, se facciamo sempre meglio con sempre le stesse cose, e non aumentiamo di numero, perché non dovremmo migliorare indefinitamente le nostre vite?   In altre parole, si pensò che fosse possibile distinguere fra uno “sviluppo insostenibile” fatto soprattutto di crescita quantitativa ed uno “sviluppo sostenibile” fatto di buone pratiche, solidarietà sociale ed efficienza industriale.
Oggi che “sviluppo sostenibile” ed “efficienza” sono divenute le parole d’ordine dei più folli e disperati tentativi per rilanciare una crescita oramai da un pezzo anti-economica, il loro suono risulta quasi osceno, ma all'epoca furono le parole d’ordine su cui si strutturarono entrambe le anime dell’ambientalismo: quella liberale e quella socialista.   Ed esattamente questo fu, a mio avviso, l’errore di partenza che fece smarrire la strada a tutti noi che, a quei tempi, raccoglievamo fondi per salvare la Foca monaca o ciclostilavamo volantini nei sottoscala.
A mio avviso, per essere efficace, il movimento ambientalista, avrebbe dovuto capire subito che il nemico non erano il capitalismo o il socialismo, ma i miti fondanti della modernità a cui entrambe queste scuole di pensiero politico attingono.   Dunque una rivoluzione ben più radicale di quelle di moda all'epoca, e questo ci porta alla seconda domanda:

Avrebbe potuto andare diversamente?
Da subito, il progetto si incagliò su numerosi scogli.   A mio avviso, due dei più importanti, che peraltro non  vengono mai trattati, furono le conseguenze che politiche efficaci sul piano della sostenibilità avrebbero potuto avere sugli equilibri geo-politici e sulle politiche sanitarie.
Frenare la crescita economica avrebbe infatti comportato la probabilità di un parallelo rallentamento del progresso tecnologico.   USA ed URSS (con i relativi satelliti) erano allora impegnati in uno scontro formidabile per il controllo del pianeta e nessuno dei due contendenti era in grado di assumersi un tale rischio, men che meno il blocco occidentale che aveva adottato (con successo) una strategia fatta di un dispiegamento di forze quantitativamente molto inferiore, ma tecnologicamente più avanzato.
Così ci si concentrò sull'aspetto demografico e chi non è più giovane ricorderà che, in Europa, la sovrappopolazione era un argomento sulla bocca di tutti.   Alcuni paesi avviarono anche delle concrete politiche di riduzione delle nascite, in particolare l’India (poi abbandonate) e la Cina (tuttora vigenti in forma attenuata), ma nessuno si sognò neppure lontanamente di mettere in discussione gli effetti demografici che il fulmineo progresso della medicina stava avendo in tutto il mondo.   Eppure, non è certo un segreto che la demografia dipende dall'equilibrio fra nascite e morti; e che con animali molto longevi come l’uomo gli effetti di fluttuazioni anche modeste da entrambe le parti hanno effetti complessi, destinati a farsi sentire nei decenni.   Un argomento politicamente minato ancor oggi, tanto più allora che avevamo una salubre memoria delle follie criminali di Hitler e Stalin.   Così, si preferì evitare l’argomento, sperando che la “transizione demografica” avrebbe risolto il problema da sola ed in tempo.   In pratica, ci si affidò alla crescita economica per risolvere i problemi che questa stessa creava.   Difficile che potesse funzionare ed infatti non ha funzionato, ma sarebbe stato possibile affrontare diversamente l’argomento con un minimo di probabilità di successo?    Penso di no.  
Un’altra ragione per cui, a posteriori, penso che non avrebbe potuto andare diversamente era la possibilità di comunicare il nostro messaggio.   In buona parte del mondo (Russia, Cina e molti altri), semplicemente era vietato.    Nei paesi occidentali era invece permesso, ma il nemico da battere si è dimostrato capace di assorbire non solo una parte dei quadri del movimento, ma anche fare proprie la retorica e la dialettica ambientaliste, assorbirne gli slogan modificandone il significato così da renderlo funzionale al proprio scopo fondamentale: la crescita.   E poiché il significato delle parole cambia nel tempo a seconda di come queste vengono impiegate, ad oggi è giocoforza ammettere che il capitalismo ha vinto non solo sul piano politico, ma prima ancora su quello semantico, a tal punto che è diventato arduo lo stesso argomentare contro di esso.
Ma anche al di la questi ed altri ostacoli, quali potevano essere le probabilità di successo di un movimento politico che, per essere coerente, avrebbe dovuto predicare la fine del progresso e del benessere materiale per tutti?    Finquando si è trattato di dire ai benestanti cittadini occidentali che dovevano rinunciare a quota parte del loro benessere, in molti si sono fatti avanti a dirlo, anche se con scarsi risultati (cfr. il rapporto Europa sostenibile e gli scritti di S. Latouche, fra i numerosi altri).   Ma era evidente che sarebbe stato del tutto inutile se, contemporaneamente, tutti gli altri popoli della terra non avessero rinunciato ad acquisire un analogo benessere: una cosa talmente “politicamente scorretta” che praticamente nessuno ha finora avuto il coraggio di dirla.    Ma neppure ciò sarebbe bastato.   Giunti alle strette degli anni ’70, fermare la crescita demografica era imperativo e non poteva essere fatto senza porre dei limiti al progresso della medicina.   Una cosa assolutamente improponibile, con ottime ragioni perché fosse così.
Dunque l’ambientalismo politico si trovò da subito stretto in un’impasse che avrebbe potuto essere superata solo con un radicale cambio di paradigma; un salto culturale talmente grande da non essere neppure tentato.
Schopenhauer diceva che solo ciò che poi accade era davvero possibile che accadesse.   Personalmente condivido solo in parte tale illustre opinione, ma nel caso in esame penso che si possa applicare pienamente.   E questo ci porta alla terza domanda:

Ad oggi continua ad avere un senso fare dell’attivismo ambientalista?   Se si, Quale? 
Bisogna ammettere che oggi è particolarmente imbarazzante fare discorsi ambientalisti.    Che dovremmo dire?     La maggior parte delle organizzazioni ancora attive continua a “suonare” allarmi ormai consunti dall'uso e dall'abuso.    Che senso ha continuare a dire che “se non facciamo questo e quest’altro avverrà una catastrofe”, quando la catastrofe è in corso e non ha spostato di una virgola la direzione del sistema?   L’esempio più facile è quello del clima.   30 o 20 anni fa era giustificato dire: “Se non riduciamo le emissioni il clima peggiorerà e farà dei danni”.    Che senso ha ripeterlo oggi, mentre sui teleschermi le immagini di alluvioni e siccità, tornado ed uragani si alternano quotidianamente alla pubblicità dell’industria energetica ed agli appelli per il “rilancio della crescita”?   E con tale naturalezza che non ci si accorge nemmeno più della schizofrenia della cosa.
D'altronde, che senso può avere andare in giro a dire che tanto oramai non c’è più niente da fare?   A parte che ciò facilmente suscita reazioni ostili e gesti osceni, rischia anche di servire da pretesto per rimuovere anche i pochi veli di protezione che ancora mitigano la follia autodistruttiva del sistema economico.
La risposta, ritengo, dipende essenzialmente dallo scopo che ci si prefigge.   Se ci si danno finalità possibili, c’è sempre un senso a fare qualcosa.   Lo scopo di partenza, dirottare il mondo su di un cammino di sostenibilità è fallito, ma abbiamo altre possibilità di azione.
La prima sta venendo di moda con l’etichetta di “resilienza”.    In estrema sintesi, si tratta di questo: preso atto dell’inevitabile, possiamo comunque prepararci in una certa misura agli eventi futuri ed aumentare le probabilità di sopravvivenza nostre e quelle dei nostri parenti ed amici.   Si tratta di un campo praticamente sterminato, totalmente da inventare in cui ognuno può rendersi utile anche solo proponendo idee e consigli, magari sbagliati ma comunque capaci di stimolare altre idee in altre persone.
La seconda è che se non possiamo fare quasi più niente per migliorare il nostro destino, possiamo invece fare tantissimo per peggiorarlo ulteriormente.    Anche solo evitare di fare cose stupide sarebbe un grandissimo vantaggio ed in questo penso che rivesta un ruolo importante la divulgazione scientifica.   Se si riesce a capire, almeno in parte, cosa sta succedendo e perché, sarà meno facile farsi abbindolare da chi promette l’impossibile, naturalmente a patto di votarlo o di comprare i suoi prodotti.
Una terza possibilità di azione riguarda il futuro remoto; quelle “bottiglie gettate in mare” di cui parla Edgar Morin (La via 2012).   Nessuno può sapere quale aspetto avrà il collasso visto dal nostro punto di vista, e neppure quanto tempo prenderà, né quale sarà il nostro personale destino.    Ma  possiamo contare sul fatto che le doti di resistenza e resilienza della specie umana faranno sì che, quando la vegetazione coprirà le rovine delle nostre megalopoli, ci saranno degli uomini a discutere di cosa siano quei grandiosi ruderi.   Possiamo fare qualcosa ora per aiutarli?    Io penso di si.    Oggi disponiamo di un patrimonio di conoscenze scientifiche e di arte in ogni forma possibile, che sarebbe veramente stupido e criminale lasciar morire con noi.   Io penso che dovremmo preoccuparci di divulgare il più possibile questo immenso patrimonio, proteggerne la parte materiale (opere, monumenti, musei, libri, ecc.) in modo da accrescere le probabilità che parte di tutto questo sopravviva alle fasi più violente e disperate del disfacimento della nostra civiltà.    Molte delle opere che ci sono giunte dal nostro remoto passato sono sopravvissute grazie a persone che le hanno copiate, nascoste, protette, tramandate.    Noi abbiamo in questo campo una possibilità praticamente infinita di azione.

In conclusione, ritengo che il movimento ambientalista fosse in partenza destinato a fallire il suo scopo principale, ma non è stato per questo inutile.   Se il filone principale del movimento non ha potuto scalfire i paradigmi della civiltà moderna, l’ambientalismo ha nondimeno influenzato importanti frange del pensiero contemporaneo, creando i presupposti perché dei paradigmi veramente alternativi possano nascere, o rinascere, contribuendo forse in modo importante alla formazione delle civiltà che, probabilmente fra qualche secolo, si diffonderanno sulla Terra.
Uno dei maggiori padri del pensiero moderno è stato senza dubbio Hobbes che nella sua opera più importante creò una metafora particolarmente geniale: il Leviatano.   Egli sostiene che la società moderna e civilizzata è un corpo unico, formato dall'insieme di tutti i cittadini, sotto la guida di un governo che riunisca sia il potere temporale che quello spirituale.   Oggi sappiamo che, effettivamente, le società umane hanno diversi punti di forte affinità con gli organismi coloniali: si pensi solo alla totale interdipendenza delle persone riunite in un unico sistema di mercato che controlla praticamente tutti i flussi di materia e di energia, ma anche l’informazione e, dunque, come la realtà viene percepita e compresa.   Forse la differenza principale fra noi e la metafora di Hobbes risiede proprio in questo: che il governo controlla ancora il potere della legge e della forza, mentre il potere di decidere quale sia la varietà, almeno nei paesi occidentali, è passato al mercato.   Per taluni alla “rete”, in cui è possibile trovare qualunque “verità” immaginabile.
In conclusione, il Leviatano, nato nel culto del progresso e finalizzato alla crescita, era dunque il vero nemico da battere, lo avevano ben capito, intuitivamente, i Luddisti due secoli fa, ma il Leviatano ha vinto.    Ha vinto soprattutto perché, grazie alla sua natura coloniale e plasmabile, si è dimostrato capace di assorbire e far propri i suoi stessi oppositori, oppure di marginalizzali al punto di privarli del significato stesso delle loro parole.
Il Leviatano ha vinto, ma non può evitare le conseguenze della sua stessa vittoria e sta quindi morendo.   Sarà un’agonia lunga e dolorosa, tanto vale cominciare ad occuparci di chi verrà dopo.



martedì 29 aprile 2014

Consapevolezza.

Una amico mi ha detto che lui aiuti alla natalità non ne ha visti. Questo amico è padre di tre simpatici bambini (veramente simpatici e bene educati, il che non è poco). Il mio problema non è tanto che gli aiuti ci siano o non ci siano, è anche il solo parlarne che trovo allarmante. Trovo allarmante che in questo momento ci siano opinionisti come Cazzullo che si indignano perché natalità e demografia non sono al centro del dibattito. Sono indignato anche io, ma per motivi opposti.

Se non si conviene sul fatto che il mondo è ad un bivio, che non è più possibile, con 7 miliardi di individui, pensare di continuare a crescere ancora di numero e di consumi, se non si capisce che la crescita demografica si è basata sullo sfruttamento delle risorse di petrolio, gas e carbone, cioè di risorse non rinnovabili, se non si conviene sul fatto che i consumi individuali moltiplicati per il numero di individui stanno rapidamente erodendo la vivibilità del pianeta, se non si conviene sul fatto che il problema non è far ripartire la crescita economica, ma come fare senza crescita economica. Beh, se non si conviene su tutto questo allora è anche inutile iniziare a parlare.

Quando si mettono al mondo bambini si deve capire quello che si fa e quello che gli si offre. Oggi gli si offre un mondo affollato, inquinato, impoverito di risorse e sull'orlo di un collasso ecologico senza precedenti. Questo è quello che penso io. Alcuni, molti, mi ribattono che non è vero, che si sta meglio di prima e che staremo sempre meglio. Non mi hanno mai convinto. Non che io neghi che oggi in Europa si stia meglio di un secolo fa, il problema è che non siamo autorizzati ad estrapolare la dinamica socio-economica euro-americana degli ultimi due secoli nel futuro come se fosse una traiettoria stabilita in modo infallibile.

E' questo almeno uno dei problemi. Nella cultura tecno-economica dominante si è sviluppata la tendenza pericolosissima a prendere per leggi di natura fenomeni storici transienti come la transizione demografica, la crescita economica e lo sviluppo tecnologico. E questa forma mentis è diventata talmente forte da farsi prima ideologia e poi fede. Il risultato è che se parli di limiti della crescita, di limiti biofisici del pianeta, se ti opponi all'idea che sia possibile continuare a riprodursi come conigli di allevamento, vieni immediatamente classificato come retrogrado, identificato come uno di quelli che sognano e propongono il ritorno al bel tempo che fu quando la natura era incontaminata e si moriva di fame. Allo stesso tempo ti ribattono con le loro convinzioni sulle magnifiche sorti e progressive dello sviluppo tecnologico e dell'ingegno umano, e sul fatto che questo in cui viviamo è il più lungo periodo di storia senza guerre, con il maggior benessere ecc ecc. Usano una narrazione che rientra perfettamente nella metafora del tacchino di Thanksgiving il quale, vedendo che ogni giorno gli veniva portato del buon becchime, era convinto che il pollaio fosse un posto magnifico dove vivere, poi, appunto, arrivò Thanksgiving.

Tacchino ripieno al forno, ricetta tipica di Tanksgiving (il giorno del ringraziamento)


 Ho rappresentato la crescita della popolazione in un modo che mi permettesse di capirla non solo con l'intelligenza razionale dei numeri, ma con l'intelligenza emotiva. Se ognuno lo facesse sarebbe forse un primo passo verso una consapevolezza condivisa di dove siamo. La popolazione umana era poco superiore ad 1 miliardo quando nacque il mio bisnonno Ulisse, nonno Francesco (detto Pancho) nacque quando la popolazione era di 1 miliardo e trecento milioni, babbo nel 1917 quando la popolazione era di 1,8 miliardi, io nel 1957 con una popolazione di 2,7 miliardi, il mio primo figlio, Galileo, nel 1995 con una popolazione di 5,7 e Rebecca, nel 2009 ad un livello di popolazione prossimo ai 7 miliardi. Una progressione che non ha uguali nella storia.



Se non si conviene sul fatto che questo pianeta è sovrappopolato, cioè che l'umanità è in overshoot ecologico, cioè che ha superato la capacità di carico del pianeta, cioè che SIAMO TROPPI, non si capirà mai come mai quelli come me si preoccupano della crescita demografica, anche se ha rallentato, e considerano la bassa natalità una virtù e non un vizio, e pensano che si debbano affrontare i problemi dell'invecchiamento della società e della fine della crescita economica piuttosto che cercare di rilanciare un meccanismo inceppato.

martedì 1 aprile 2014

Antiambientalismo

Il Foglio di oggi è il Gazzettino Goliardico dell'Antiambientalismo Militante. Molto divertente e a tratti perfino condivisibile, nella misura in cui (come si diceva un tempo) si accettano le premesse. Che io non accetto.

C'è l'inimitabile Langone che lamenta la animalistizzazione del centrodestra, il successo della Brambilla, il fatto che Berlusconi abbia detto qualcosa su Dudù che sarebbe più intelligente di alcuni dei suoi (e quale sarebbe l'offesa?). Secondo Langone (Camillo, un paleo catto integralista da circo) si va verso la sacralizzazione dell'animale che comporta la parallela perdita di sacralità dell'uomo.

C'è Ferrara che se la prende con l'IPCC. Lui che probabilmente non sa leggere un grafico cartesiano ha capito tutto del cambiamento climatico e sa che sono tutte bufale, un complotto anti-industrialista della lobby verde.

Qualche apprezzamento per Erdogan, uomo forte di Costantinopoli, che, fra le altre molte cose belle ha doverosamente bastonato i fighetti di Piazza Giza (quelli che difendevano il parco dalla costruzione del centro commerciale.

Poi ci sono gli economisti di racca: Pelanda (Carlo) e Savona (Paolo). Il primo fa una sviolinata improbabile su quanto il vecchio welfare sia vecchio (ed è vero) e quanto intralci le magnifiche sorti e progressive del capitalismo di massa basato sull'innovazione. Il secondo Paolo Savona, dopo discorsi più o meno condivisibili sull'Europa, salta fuori con l'affermazione, in se corretta, che il secondo motore di sviluppo dell'Italia è l'edilizia, facendola seguire dalla seconda affermazione secondo cui il mattone è stato fermato dall'ideologia e da un'assurda tassazione.

Da dove comincio?

L'Ambientalismo mi sta stretto anche a me, da tempo. E' sinonimo di Sviluppo Sostenibile (che palle), è sinonimo di difesa dell'ornitorinco del basso corso del Rio Blanco, è sinomino di retroguardia, di cura delle petunie mentra sta arrivando lo Tsunami che spazza via tutta la città, non solo il giardinetto. Insopportabile.

La situazione attuale indica l'Ecologia Profonda come unica risposta (non soluzione) al catramaio in cui siamo, come risultato di un overshoot ecologico che non ha uguali. Se non sapete cosa sia andate a guardarvelo.

A Langone si può dire che se sarebbe divertente vederlo sbranato da un branco di cani randagi, prodotto dell'insipienza ecologica del suo sacro Homo sapiens, è più probabile che sarà levato di mezzo da un batterio, forma ancora più semplice, ma di successo biologico, del cane.

A Ferrara si può dire che sarà divertente vederlo schiattare di caldo sotto il suo superfluo strato adiposo in un'atmosfera arroventata dai gas serra. Povero analfabeta scientifico amante dello scientismo accademico di parte. Per intendersi lo scientismo fatto da quelli che: "il riscaldamento climatico è comunista".

Agli economisti, con le loro ricette, basta dire che i loro modelli, mentali o matematici che siano, sono semplicemente tutti sbagliati. Vi manca il più e il meglio: la termodinamica. Non ve l'hanno fatta studiare, da soli non ci siete arrivati e, da analfabeti parlate di un mondo che non esiste più.

L'innovazione di cui parla Pelanda, e che sarebbe l'oggetto di consumo di una popolazione debitamente istruita, high tech, è fuffa, al 99% innovazione figurativa sostenuta da una ricerca scientifica adeguata allo scopo, cioè condotta da una casta accademica di persone psicologicamente immature votate all'autoreferenzialità.

Non ero di buon umore stamattina, ma buona giornata a tutti.

sabato 22 marzo 2014

Il peso ecologico dell'ingiustizia.

In queste settimane, oltre che della perdurante crisi economica, si torna a parlare più spesso di crisi ecologica. Il tema è stato nascosto a lungo dopo gli eventi finanziari del 2007-2008, ma il quinto rapporto dell'IPCC e le questioni energetiche legate alle crisi geopolitiche, riportano il tema dei limiti dello sviluppo (crescita) in primo piano. E' inevitabile. Si può discutere all'infinito di ingegneria finanziaria, di regolamenti bancari, di strategie per l'indipendenza energetica, di alternative politiche per il controllo delle emissioni, ecc ecc ma è inevitabile che si torni sempre ai due elefanti di Forrester: popolazione e consumo. Un lavoro che esce dall'Università del Maryland riporta nel discorso un ulteriore elefante: l'ingiustizia economica, definita come stratificazione sociale. Insomma quella cosa evidenziata nelle curve di Lorenz e nel coefficiente di Gini. Chiamatela come credete.

Il lavoro, condotto da un gruppo del dipartimento di Matematica dell'Università del Maryland, ha il grande pregio di armonizzare, in un modello dinamico, fattori socio-economici, in particolare la stratificazione sociale (scelgliendo di dividere la società in due classi generali: elites e commoners) e la divisione della ricchezza, con fattori ecologici come la capacità di carico. La dinamica demografica che ne risulta è molto più aderente alla realtà di quella escogitata dai demografi tradizionali che, ad esempio con il modello della transizione demografica, attribuiscono valore predittivo a fenomeni che sono probabilmente solo transienti storici, estrapolando poi il presente nel futuro senza altra giustificazione tecnica se non quella che non sanno come fare in altro modo (si veda, ad esempio, il numero di Science dedicato alla demografia nel 2011 su cui avevo scritto un commento sul mio blog). Non sanno come fare, si potrebbe dire, perché sono ignoranti. Ignorano quello che i ricercatori dell'Università del Maryland invece sanno: il metabolismo sociale ed economico si svolge all'interno degli ecosistemi terrestri e ne è dipendente. Non ci sono discussioni su questo punto. Questo è un fatto che nessun economista è in grado di negare in modo credibile. Naturalmente questa mia affermazione è smentita da Carlo Stagnaro dell'Istituto Bruno Leoni, think tank liberista, che professa indefessamente da anni la sua religione tecno-ottimista di stampo simoniano.

La conclusione del lavoro dei matematici dell'Univ. of Maryland è che si può evitare un collasso riducendo la crescita demografica e il consumo di risorse naturali e riducendo l'ingiustizia sociale.

Si può convenire con Stagnaro sul fatto che un tale contenimento del metabolismo sociale ed economico umano porterà qualche problema, magari anche grave. Affrontare questi problemi e mitigarne gli effetti è il compito più arduo di questo momento storico, spazzare sotto il tappeto i segnali di disgregazione degli ecosistemi coprendoli con una coltre di ideologia non servirà ad evitare il collasso. 

mercoledì 5 marzo 2014

Tutti contro Malthus? Evviva Malthus allora.

Sul Corriere di oggi Papa Francesco, rispondendo a Ferruccio De Bortoli a proposito del controllo delle nascite, se la prende con il "neo-malthusianesimo presente e futuro". Non è una novità, Malthus è da sempre vittima di tutte le chiese. Quindi ho buone ragioni per pensare che abbia detto qualcosa di sostanzialmente giusto.

Ce l'hanno con lui i credenti, cristiani cattolici e protestanti, mussulmani, e non mi meraviglierebbe scoprire che anche altre fedi religiose hanno nella loro cultura il natalismo. Ce l'hanno con lui i marxisti, i liberali, i democratici e i fascisti. Sono decisamente convinto che abbia detto qualcosa di profondamente giusto.

Anni fa aprii questo blog con l'idea di lanciare, sulla falsariga del Darwin day, un Malthus day. Un giorno che non celebrasse solo Malthus per la simpatia che mi ispira dati i suoi molti nemici, ma per sviluppare una coscienza riproduttiva, un evento che sarebbe veramente evoluzionisticamente e socialmente rivoluzionario.

Il Malthus day è un mio pallino, ma non mi è mai riuscito di realizzarlo un po' per mia incapacità un po' per la scarsa collaborazione incontrata, ma una volta o l'altra devo riuscire a farlo. Siccome va fatto in febbraio, possibilmente il 13 (Malthus nacque il  13 febbraio 1766)ho un anno intero per riprovarci. Chi ci sta mi scriva a questo indirizzo di posta elettronica: gattopardi57@yahoo.it assicurandosi di segnalare il messaggio mettendo nell'oggetto: Malthus day. Chi pensa che sia un errore, un'ignominia, una bischerata, un delitto si risparmi èure, tanto le ho già sentite tutte.

Organizzativamente so che sarebbe relativamente facile farlo in area radicale, ma non voglio. Non voglio perché non deve avere una connotazione politica come l'ha avuta il Darwin day. Si deve costituire un comitato, trovare i fondi per l'iniziativa e farla, per così dire, in campo neutro.

domenica 2 marzo 2014

I commenti della domenica.

Pochi giorni fa il Capo del Dipartimento della Protezione Civile, Franco Gabrielli, ha lanciato una proposta insolita per una persona che fa direttamente capo alla Presidenza del Consiglio, cioè al governo. La proposta era che di fronte ai ricorrenti disastri causati dal dissesto idrogeologico si dovrebbe smettere di costruire alcunché per 10 anni e votare tutte le risorse alla riparazione del territorio devastato dalla cementificazione.


Venerdì pomeriggio nel mio paese, Pontassieve, si è sentita per l'ultima volta la sirena dell'Italcementi che ha svolto per 80 anni la sua attività nei pressi del centro abitato di Pontassieve. Il cementificio chiude, le persone che ci lavoravano perdono il lavoro, e questo è un dramma. Ma non ci si può fermare a questo. Monica Marini, una dei candidati alla sindacatura per la prossima primavera, era alla cerimonia di chiusura e su questa ha scritto parole toccanti sulla sua bacheca Facebook. Io le ho risposto così:


Cara Monica, come ti ho detto anche in un'altra occasione, sarete voi amministratori locali, più di quelli di Roma, Bruxelles, Washington e Pechino, a sopportare il peso, nei prossimi anni, della transizione a cui siamo chiamati. La chiusura del cementificio fa parte della transizione, come quella delle acciaierie e, alla fine, delle fabbriche di automobili ecc. Il lavoro dovrà essere creato in altre attività ecologicamente sostenibili, con l'idea di fondo che il modello produttivista della manifattura non è resuscitabile e che quello del capitalismo finanziario è alla fine (a meno che non riescano a buttarci in una guerra totale). Purtroppo chi fa politica nelle capitali ancora non l'ha capito, pensano che sia possibile, con qualche operazione di razionalità economica, tornare a CRESCERE, nessuno che si chieda se questo è semplicemente possibile. Nessuna grandezza fisica può crescere indefinitamente, non la produzione, non i consumi, non la popolazione umana (con tanti auguri alle famiglie numerose ed alla loro retorica), ad un certo punto gli ecosistemi che ci sostengono smettono semplicemente di funzionare. Quello che ci vediamo intorno è, secondo me, il segno del malfunzionamento dell'ambiente che, da una parte, non ci concede più le risorse con la stessa facilità di secoli o anche decenni fa, dall'altra non accetta più gli effetti delle nostre attività. Non è più sufficiente far riferimento allo SVILUPPO SOSTENIBILE inteso, in effetti, come CRESCITA SOSTENIBILE (un ossimoro) si deve davvero voltar pagina. E in questo voltar pagina non c'è nulla di prevedibile nè di scontato. Ci si deve lavorare proprio a partire dalle comunità locali. Su questo tema sarebbe interessante un incontro con l'associazione delle Città di transizione nate nel mondo anglosassone, ma già presenti in Italia. Capisco il dramma della chiusura di una fabbrica, ma si deve anche riflettere sul fatto che certi tipi di attività industriale che nella fase espansiva erano indispensabili ora diventano via via sempre più marginali. Il problema non è tenere aperte le attività per forza, ma crearne di nuove. Il problema è che chi fa politica ha studiato troppa economia e poca (o punta) ecologia, ma alla fine, o, come dicono gli economisti, nel lungo periodo è l'ecologia che comanda.