giovedì 29 luglio 2010

Luigi De Marchi



Altri ricordano Luigi:
Pier Paolo Segneri ne scrive su Notizie Radicali.
Guido Ferretti ha scritto un messaggio sulla mail list di Rientrodolce.
Sul sito di Radicali Italiani c'è l'addio del partito. Dalla home page da dove si accede al messaggio di saluto c'è una bellissima foto di Luigi che parla con Adele Faccio e il dottor Karmah.
Poi il ricordo di Vincenzo Valenzi.

Per riascoltare la voce di Luigi si può andare sul sito di Radio Radicale.

lunedì 26 luglio 2010

Luigi De Marchi


Nella tarda serata di sabato scorso è morto Luigi De Marchi.
Quella riportata sopra è la copertina di uno dei suoi libri che ho maggiormente apprezzato.
Per la sua vita politica, scientifica e culturale rimando tutti ai coccodrilli che certamente non mancheranno.

Per quanto mi riguarda lo ricordo come voce imperdibile del lunedì mattina su Radio Radicale
con i suoi editoriali lucidi e anti-ortodossi su demografia, amore, sesso, malattie e tanto altro.

Lo conobbi personalmente a Torino nel 2005 in occasione di un convegno sui Limiti dello Sviluppo organizzato da Fabrizio Argonauta con la Lista Bonino Piemonte. Persona dolcissima, Luigi era un vero psicoterapeuta umanista e mi ha anche aiutato in un momento doloroso della mia vita. Quando ci incontravamo mi prendeva a braccetto in modo confidenziale e mi parlava dei casi che si svolgevano intorno a noi, politica soprattutto, con una mescolanza impagabile di ironia e rigore. Anche per questo, e per quanto
mi sento di aver perso stamattina (solo ora ho saputo la notizia) non posso che piangere.

Luigi non c'è più e anche se lo sentivo solo due o tre volte l'anno in occasioni speciali di
congressi e convegni, per sapere se ci saremmo visti, mi manca già.
Per un ateo non c'è consolazione. Non mi resta che vivere ricordandolo finché vivrò come un'altro
padre. Poi saremo, come tutti, nella sconfinata notte del "non essere".

sabato 24 luglio 2010

Scialuppe di salvataggio.



La settimana scorsa è uscito Overshoot N.1 il primo numero del bollettino di Rientrodolce che segue il N.0 pubblicato in gennaio. Quello che segue è l'editoriale di presentazione di questo numero.

Tutto quello che è successo da due anni a questa parte ha confermato in noi la convinzione che sia in atto non una delle tante crisi passeggere, ma un evento storico che possiamo definire come crisi di sostenibilità globale della specie umana. La crisi economico- finanziaria iniziata nell'estate del 2008 non ci appare solo come l'effetto dello scoppio delle bolle causate dal casinò globale, ma uno dei sintomi di questa crisi di sostenibilità. Da questo punto di vista le analisi economiche che prospettano una crisi dell'insieme dei paesi di antica industrializzazione a favore dei paesi in via di sviluppo, Cina e India per primi, ci convincono poco. Sono un modo diverso di dire che il sistema industriale sviluppatosi dal XVIII secolo in poi si può ancora tenere, anche se su nuove gambe. Il paradigma tiene, non sarà Business as Usual (BAU), ma qualcosa di molto simile. Chi sa, chi è bravo, giovane, intraprendente, aggressivo, volonteroso, competitivo, andrà semplicemente a "mordere il mondo" altrove. Una crisi di sostenibilità invece rende necessario, come risposta, un cambio di paradigma. Non ci sono le risorse naturali, non ci sono abbastanza pianeti Terra, affinché sette o otto o dieci miliardi di persone assumano lo stile di vita consumistico. Ci sono molte voci che invocano un tale cambio di paradigma e noi siamo una di quelle. Non sono moltissime le voci che mettono al centro, o all'origine, del problema ecologico (una crisi di sostenibilità è un problema eminentemente ecologico) il problema demografico. Noi lo facciamo. Non basterà certo soddisfare il desiderio di quei 76 milioni di donne che ogni anno denunciano una gravidanza indesiderata di cui parlano Marco Cappato e Carmen Sorrentino nel documento che riportiamo, perché, come dicono giustamente i nostri amici di Demographie Responsable nella petizione che potete leggere su questo numero, fornire i servizi di salute sessuale e riproduttiva non farebbe diminuire il numero di nascite che di 22 milioni all'anno, contro un aumento della popolazione dell'ordine dei 75 milioni annui. Ma sarebbe un primo doveroso passo verso la crescita zero che è ovviamente la prima pietra miliare sulla strada del rientro dolce. Non basterà impegnarsi perché l'ONU e i governi si spendano (e spendano) per permettere a tutti quelli che lo desiderano, e sono milioni di donne e uomini (soprattutto donne) di poter attuare una programmazione familiare che permetta alle donne del terzo mondo di risalire dalla buca di povertà e disperazione da cui a volte si tenta di fuggire per le vie impervie e spesso mortali dell'emigrazione, dando luogo al grande fenomeno delle migrazioni sulle quali si esercitano tutte le possibili retoriche e sulle quali lucrano le mafie di mezzo mondo. Non basterà, e restiamo convinti che l'uso delle bombe mediatiche, nella forma dolce come quelle messe in atto ad esempio dal Population Media Center di Bill Ryerson, saranno uno degli strumenti utilizzabili per convincere uomini e donne che il periodo della conquista è finito e adesso è giunto il momento della responsabilità. A noi piace vederci come una delle componenti delle scialuppe di salvataggio che salveranno dal naufragio la nostra società. Alcuni,anche fra di noi, temono che non ci sarà mai un rientro dolce. Non si può mai dire chi abbia ragione, ma la nostra attitudine è quella di fare ciò che si deve aspettando che avvenga ciò che può. Il rientro dolce non è Rientrodolce, il rientro dolce è la lunga transizione, alcuni preferiscono chiamarla decrescita o decrescita felice, altri transizione sostenibile, altri la vedono come una società in cui il PIL non è più l'unico mezzo di misura del benessere, ma in cui si valutano altri indici come l'Indice di Sviluppo Umano o la Felicità Interna Lorda, altri ancora preferiscono mettere l'accento sul pensiero di alcuni grandi critici delle derive ecologicamente non sostenibili della modernità: Karl Polany, Ivan Illich, Cornelius Castoriadis e vedono la transizione come un ritorno all'economia sostanziale in cui il valore d'uso riprende il posto perduto a favore del valore di scambio ... Non importa che ci siano differenze, quello che è importante è riconoscere un filo conduttore comune, smussare le differenze e nel processo stesso della transizione arricchirsi vicendevolmente di punti di vista diversi, ma concordi. In questo mondo in cui la competizione è entrata a far parte di ogni possibile manifestazione della vita associata e viene enfatizzata ed incoraggiata come strumento salvifico per il ritorno alla crescita, il movimento ambientalista deve presentarsi come un'avventura di collaborazione collettiva. Le scialuppe non saranno la stessa cosa del grande transatlantico che affonda. La questione demografica non esaurisce il problema ecologico e ne siamo pienamente coscienti. Chiunque in questi anni abbia cercato di convincerci ad occuparci solo di popolazione o solo di ambiente non ci ha convinto. L'ecologia è una scienza che si basa sul pensiero sistemico. Tutte le componenti della società umana inserita nell'ambiente naturale devono essere ripensate. Uno dei primi problemi sarà quello di dare energia alle società dopo il picco del petrolio; la promessa rinnovabile rischia di diventare un'illusione se non si da concretezza quantitativa allo sviluppo delle fonti e si non chiude la fase pionieristica per entrare nella fase di produzione massiccia di quell'energia elettrica (la forma prevalente di energia prodotta dalle rinnovabili) che può garantire una transizione post-petrolifera che sia davvero dolce, il fattore propulsivo delle scialuppe di salvataggio insomma. Produrre energia nelle società contemporanee significa creare impianti che producano centinaia e migliaia di MegaWatt (MW) di potenza. La potenza necessaria ad un città in transizione è di questo ordine di grandezza. Abbiamo appreso nelle settimane scorse che il progetto Kitegen, progetto che ci è sempre apparso, fin dall'inizio, come la fonte rinnovabile potenzialmente più promettente proprio per la scalabilità del suo output energetico da pochi MW fino alle migliaia di MW, è entrato in fase di realizzazione, nella versione stem, in due diversi siti. Possiamo allora sperare che, superati i molti ostacoli che ancora si frappongono fra i nostri desideri e l'entrata in funzione del primo impianto, le scialuppe di salvataggio siano prossime ad avere un motore per fare rotta verso lidi sicuri? Questa è la nostra speranza.

Luca Pardi (Segretario di Rientrodolce)

Paolo Musumeci (Presidente di Rientrodolce)

Stefano Bilotti (Tesoriere di Rientrodolce)

giovedì 15 luglio 2010

Il ritorno di Malthus.

Ho invitato con piacere Eugenio Saraceno a commentare la notizia riportata sui media e in rete sul ruolo della speculazione sulla crisi alimentare. Il commento è molto appropriato per questo blog. Si potrebbe anche intitolare "Il ritorno di Malthus".
Luca Pardi


Crisi alimentare e speculazione finanziaria

Di Eugenio Saraceno


Aspo Italia

Lug.2010



In un editoriale apparso il 2 luglio su The Indipendent e firmato dal giornalista e critico d'arte Johan Hari, intitolato "How Goldman gambled on starvation" si descrive "come alcune delle società più ricche del mondo, Goldman, Deutsche Bank, i traders della Merrill Lynch ed altri ancora, hanno provocato la morte per fame delle persone più povere del mondo, solo perché così hanno potuto fare un più grasso profitto."

Si parla della speculazione messa in atto dal 2006 da molti operatori finanziari sui derivati che da alcuni anni permettono di speculare sui prezzi delle più importanti derrate alimentari: granaglie, olii vegetali, soya etc. I mercati della food speculation hanno consentito ad organizzazioni finanziarie prive del più elementare senso morale (del resto sono finanzieri, non filantropi) di provocare un aumento ingiustificato dei prezzi delle derrate alimentari che ha avuto come effetti sostanziose prese di profitto da parte degli speculatori stessi e milioni di persone affamate in più nel mondo, persone che non potevano permettersi di acquistare sufficiente cibo con i livelli di prezzi raggiunti. In seguito i prezzi sono tornati a livelli più ragionevoli e le statistiche ci dicono che nel periodo considerato non vi erano state drastiche riduzioni di produzione nè aumenti di domanda tali da giustificare i livelli raggiunti; ciò dimostra che quell'andamento dei prezzi era dovuto ad una bolla speculativa.

La conclusione è che è tutta colpa degli speculatori e che in tali mercati dovrebbero essere introdotte regole che impediscano tali condotte.

Ho letto simili ragionamenti anche in merito alla bolla sui derivati petroliferi e, se ben ricordo, anche riguardo i maneggi dei panettieri milanesi che provocarono l'assalto ai forni di manzoniana memoria.

Ogni crisi presenta un triste cliché, i furbi ed i privilegiati finiscono per arricchirsi sulla pelle delle persone comuni. Non è una novità e mi sembra inutile ragionare ulteriormente su questo, a meno che non vogliamo fare della filosofia spicciola sulla natura maligna o benigna dell'essere umano.

La semplice introduzione di regole, sappiamo, non è sufficiente ad impedire che individui e società, nella massima noncuranza di ogni senso umano, trovino il modo per approfittare di una crisi, che sia una guerra o una carestia, o un terremoto (ogni citazione a fatti recentemente accaduti è puramente voluta) per lucrare e speculare.

Non si contano i casi di speculazione sulla fame anche in tempi in cui i food derivates non esistevano affatto. Non erano certo strumenti finanziari che venivano utilizzati per fare incetta di derrate in tempi di guerra o carestia rivendendole a peso d'oro. Lo strumento finanziario e telematico, contrariamente al fare incetta localmente, permette di effettuare la speculazione a livello globale, ma tale diabolica capacità è bilanciata da altrettanto tecnologici strumenti che oggi permettono di trasportare e conservare derrate alimentari in tutto il mondo.

Per quale ragione la speculazione è intervenuta solamente nel 2006 e non prima, visto che è così lucrativa e gli strumenti finanziari esistono dagli anni '90?

Un tentativo di analisi può raffrontare i due seguenti grafici che confrontano la crescita della popolazione con la produzione di grano.



Dal 1960 al 1989 si evince che la produzione di grano è cresciuta più rapidamente della popolazione, rispettivamente del 165% contro un aumento demografico del 125%



Dal 1990 al 2009 la produzione di grano è cresciuta solamente del 24% contro un aumento demografico del 28%.

E'da considerare che nello stesso periodo gran parte dell'aumento di produzione di granaglie è stato destinato alla produzione di carne, richiesta dai ceti produttivi dei paesi emergenti e biocombustibili, richiesti dai paesi sviluppati per far fronte alla crisi petrolifera. Tali quote degli aumenti di produzione risultano pertanto divisi per 7 in termine di aumento delle calorie o addirittura nulli nel caso della destinazione a biocombustibili. La produzione di bioetanolo da granaglie è quintuplicata dal 1990 al 2009.

Le prospettive per l'agricoltura non sono rosee, cambiamenti climatici, erosione, desertificazione, sovrasfruttamento delle falde acquifere e crisi energetica con aumento di costo dei fertilizzanti e richiesta di biocombustibili non fanno presagire un miglioramento della sicurezza alimentare, quanto all'aumento demografico, al contrario, le previsioni più caute indicano una popolazione di 8 mld al 2025.

Parallelamente le statistiche indicano che il numero di persone sottonutrite, calato da 878 mln del 1970 a 825 nel 1997 si è di nuovo acuito ed è stato superato il miliardo di affamati nel 2009.

Pertanto la FAO ha stimato che la produzione alimentare mondiale deve raddoppiare al 2025 per sopperire alle necessità degli 8 mld di persone ed alleviare il problema del miliardo di affamati.

In uno scenario del genere è prevedibile che si innesti la speculazione a peggiorare le cose. La speculazione segnala che qualcosa non va, è un sintomo e non una causa. Curare un sintomo regolando un mercato è lodevole, ma non elimina la causa.

Gli speculatori hanno semplicemente notato che la popolazione cresce più rapidamente dei raccolti e scommesso sulla fame. Sicuramente gli operatori che hanno fatto un simile ragionamento sono degli individui spregevoli ma questo non spiega perché i raccolti non crescono allo stesso tasso della popolazione.

L'unico rimedio è produrre di più (o consumare meno) quando domanda e offerta si incontrano troppo vicine è lì che si creano i presupposti per la speculazione che, ripeto, è sempre un sintomo e mai una causa.

Le statistiche utilizzate sono reperibili in:

http://www.earthpolicy.org/index.php?/books/pb4/pb4_data
si veda anche:

http://info.k4health.org/pr/m13/m13chap1_2.shtml

mercoledì 16 giugno 2010

Gli obbiettivi che ci siamo dati.

Lo scorso fine settimana si è svolto a Milano il IV congresso di Rientrodolce.


Ringrazio tutti quelli che sono intervenuti o che hanno anche solo ascoltato.
Per riascoltare l'audio degli interventi si può andare sul sito di Rientrodolce dove di trova la registrazione
fatta da Radio Radicale. Presto dovrebbe essere disponibile in rete anche l'intero video del congresso registrato da Edoardo Quaquini.

Quella che segue è la Mozione generale che ne è uscita e che, nel dispositivo finale, ci dovrebbe guidare il prossimo anno.

MOZIONE GENERALE


Il quarto congresso dell'Associazione Radicale RIENTRODOLCE, riunito a Milano nei giorni 12 e 13 giugno 2010:

Udite le relazioni del Segretario e del tesoriere, le approva.

Ringrazia l'A.R. Enzo Tortora per l'ospitalità offerta e gli ospiti intervenuti:

 Marco Cappato dell' A. R. Luca Coscioni,

 Vittorio Bertola del Movimento Cinque Stelle Piemonte,

 Iolanda Nanni del Movimento Cinque Stelle di Pavia,

 Sabrina Triola e Bruna Colacicco dell'Associazione Felicità Interna Lorda,

 Alfonso Navarra,

 Marco Belelli dell’A. R. LEP,

 Diego Mazzola dell' A. R. Radicali Senza Fissa Dimora,

 Giuseppe Muscia dell' A. R. Radicali Pavia.



Conferma come obiettivi politici dell'associazione la diffusione di consapevolezza riguardo alle conseguenze ecologiche e sociali della sovrappopolazione, sull'umanità e sull'intero ecosistema.

Prende atto che secondo la Banca Mondiale ogni anno si registrano 76 milioni di gravidanze indesiderate, evitando le quali sarebbe possibile avvicinarsi all'obbiettivo della crescita zero della popolazione, senza altro sforzo che la diffusione dell'informazione e dei servizi di salute sessuale e riproduttiva in tutte le società in cui essi sono assenti.

Si rammarica che dal 1994 le Nazioni Unite non abbiamo più convocato la Conferenza mondiale sulla popolazione, né abbiano in programma una nuova convocazione e che tale decisione sia stata subita dalla comunità internazionale come un fatto compiuto.

Stigmatizza il fatto che sul tema demografico l'ONU non rispetti la propria legalità e che i finanziamenti dei donatori per l'offerta di servizi di pianificazione familiare si siano più che dimezzati (per responsabilità soprattutto degli Stati Uniti d'America), nonostante la dichiarazione, rilasciata nel 2002 dal Segretario Generale dell'ONU, nella quale si evidenziava come gli Obiettivi del Millennio non possano essere raggiunti “se non vengono affrontati in modo diretto i problemi della popolazione e della salute riproduttiva". [rapporto UNFPA 2009, pagina 41].



Prende atto del collegamento tra la distribuzione globale del benessere e la misura dei danni ecologici sinora arrecati all'ambiente e ritiene indispensabile che l'onere delle conseguenze rispecchi quello delle responsabilità e dei mezzi a disposizione per farvi fronte.

Considera l'evoluzione della crisi economica e finanziaria globale una diretta conseguenza del raggiungimento dei limiti planetari della crescita economica e ritiene essenziale il riconoscimento di questa realtà, affinché sia resa possibile l'adozione di strategie politiche in grado di governare in modo coordinato e democratico le conseguenze sociali e ambientali sin qui prodottesi e di prevederne l'evoluzione.

In questo quadro considera centrale il problema costituito dal raggiungimento di un picco di produzione del petrolio convenzionale e dal previsto picco di tutte le risorse non rinnovabili che hanno alimentato il metabolismo sociale ed economico degli ultimi decenni.

Ritiene essenziale una rapida conversione del sistema energetico dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili, al fine di preservare la funzionalità degli ecosistemi terrestri che supportano la civiltà umana.

Ritiene opportuno, nel denunciare il carattere ecologicamente e socialmente distruttivo dell'ideologia della crescita materiale infinita, sinora assunta alla base dei comportamenti globali, che sia mantenuto un certo livello di crescita economica dei paesi poveri, ma rifiuta l'idea secondo cui la crescita economica sarebbe la condizione per la possibilità di redistribuzione della ricchezza prodotta.

Denuncia come, attraverso la proliferazione urbana, la creazione di sempre nuove aree commerciali e industriali e l'infrastrutturazione selvaggia, si manifesti in modo evidente il consumo violento delle risorse agro-forestali mondiali e la crescente appropriazione del territorio da parte di una sola specie a scapito di tutte le altre. Ciò avviene anche, in particolare, nel territorio italiano, che tutti dicono di voler tutelare.

Considera altresì centrale il tema della salvaguardia della biodiversità, nel campo delle azioni concrete da svolgere al fine di non ridurre l'anno della biodiversità ad un mero esercizio retorico per la difesa delle specie protette e ricondurlo nell'alveo di politiche sistemiche finalizzate alla difesa e al ripristino della funzionalità degli ecosistemi terrestri.

Invita perciò gli organi dirigenti:

• A coinvolgere il NRPTT con proposte di iniziative nazionali e internazionali in ambito ONU, finalizzate al raggiungimento degli obbiettivi che costituiscono il prerequisito per l'inizio del rientro dolce della popolazione, attraverso una campagna per la diffusione dell'informazione e dei servizi di salute sessuale e riproduttiva articolata in tre obbiettivi:

◦ 1) convocazione di un nuova conferenza dell’ONU sulla popolazione,

◦ 2) inserimento nei trattati di cooperazione internazionale di una clausola sulla diffusione dei metodi di pianificazione familiare anche per via massmediatica anche con programmi di intrattenimento

◦ 3) inserimento fra i diritti umani del diritto alla pianificazione familiare.

• A continuare la campagna per l'istituzione del Malthus Day.

• A continuare la pubblicazione del bollettino dell'associazione intitolato Overshoot, creando una redazione stabile e assicurando una continuità nelle pubblicazioni.

• A promuovere, in collaborazione con l'Associazione Luca Coscioni, iniziative di studio sul tema "popolazione, risorse, economia" in cui si tracci la relazione fra le evidenze scientifiche e le conseguenze non solo economiche, ma sociali, culturali e psicologiche della crisi in atto.

• A promuovere nel mondo politico, in collaborazione con Radicali Italiani e con il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, una riflessione sulle relazioni fra crisi ecologica e crisi economica e sulle modalità di governo, anche attraverso accordi globali, della transizione dalla trascorsa fase di crescita economica alla fase successiva di evoluzione della società in ecosistemi limitati. Ovvero una riflessione che affronti le questioni del lavoro, della disoccupazione, dell'invecchiamento della società, della fiscalizzazione dei danni ecologici, collegandola con l’incentivazione delle fonti rinnovabili di energia. In particolare a promuovere in campo politico la diffusione del libro di Lester Brown: Piano B mobilitarsi per salvare la civiltà.

• A effettuare una ricerca sistematica sulle organizzazioni operanti nel campo della sovrappopolazione, individuando possibili sinergie.

• A promuovere presso altre associazioni, amministrazioni e i partiti politici la più ampia adesione al manifesto "Stop al consumo di territorio".

• A promuovere, sia all'interno dell'associazione sia negli auspicabili contatti esterni, l’aggiornamento scientifico e culturale degli interlocutori sui temi demografici ed ecologici.

giovedì 8 aprile 2010

Terra 3.0


I limiti della crescita, i confini del pianeta.

Ho finito di leggere gli articoli del numero di Aprile di Le Scienze dedicato ai limiti del pianeta e alle idee per arrestare il processo di overshoot in corso.

Terra 3.0 vuole significare, in modo efficace, il terzo stadio della presenza umana sul pianeta.
Che non può essere la continuazione di Terra 2.0, l'era della crescita.

L'edizione italiana di Scientifica American ha deciso questo mese di divulgare il contenuto essenziale di un lavoro uscito settimane fa su Nature a proposito dei "confini" (borders) del pianeta.
Si tratta della stima quantitativa di quei cicli e processi naturali che sono stati rapidamente modificati dall'azione della nostra specie dalla rivoluzione industriale ad oggi, e la cui variazione non può superare certi valori pena l'innesco di transizioni incontrollabili e repentine.
Una quantificazione del principio di precauzione.

Per gli appassionati di clima c'è anche un'intervista a Casarini sui problemi all'IPCC e un articolo sui problemi e limiti dei modelli climatici.

Sulla questione petrolifera c'è un circostanziato intervento di risposta all'articolo di Leonardo Maugeri del mese scorso, pubblicato nella rubrica La polemica. Il pezzo che ha tratti di genialità nella valutazione
dell'EROI del petrolio, è opera di tre autori ben noti in ASPO-Italia: Claudio della Volpe, Antonio Zecca e Luca Chiari.

Si conferma che, sulla questione ambientale ed energetica, la linea editoriale di Le Scienze è cambiata rispetto al recente passato di trionfalismo tecnoscientifico per approdare ad un più moderato e preoccupato ottimismo (a parte gli editoriali del solito Bellone).

Si conferma anche che la questione demografica resta un tabù per tutti perfino per gli scienziati che si occupano di sostenibilità e resilienza. Solo un breve accenno nell'articolo di Bill McKibben.
Nulla di simile all'intervento fulminante di Jay Forrester alla vigilia di Copenaghen.

Fino a quando questo atteggiamento culturale e politico non cambierà ci sarà sempre posto per Rientrodolce (purtroppo). E speriamo che, se cambia, non cambi troppo tardi.

mercoledì 24 marzo 2010

Lettera ai candidati (di qualsiasi elezione democratica)

Caro candidato,

iniziata l'ultima settimana di campagna elettorale ognuno si chiede per chi sarebbe meglio votare, per motivi di interesse personale, generale, nazionale, umano …. e la confusione si fa preoccupante.

Personalmente avrei un criterio molto semplice: votare qualunque politico che mostri di comprendere una o più delle questioni elencate qui di seguito (o possibilmente l'intera sequenza):

1- La crisi economico – finanziaria in cui siamo piombati nel 2008 non è altro che l'effetto di un più generale manifestarsi dei limiti della crescita economica. Il fattore più evidente di questi limiti è stato il raggiungimento di un picco di produzione globale del petrolio convenzionale che ha determinato un aumento impetuoso del prezzo dell'energia nel periodo 2004-2008 (da 30 a 140 USD/barile) che il sistema del credito basato sulla continua estensione del debito non poteva reggere altro che in condizioni di crescita materiale infinita. Fine della crescita, fine del sistema finanziario contemporaneo.

2- Il globalismo economico, le istituzioni che lo governano e le infrastrutture fisiche che lo rendono possibile dipendono da un flusso continuo di energia a basso costo. Fine dell'energia a basso costo: fine del globalismo economico e delle sue strutture locali cioè dell'intero sistema da cui dipendiamo attualmente per ogni singola azione della nostra vita.

3- Raggiunti I limiti della crescita economica e superati molti dei confini ecologici del pianeta, si è raggiunto anche il limite della crescita demografica. L'unica opzione sensata è un progetto politico di rientro dell'economia e della popolazione. Tale progetto non può evitare nel prossimo futuro un periodo di instabilità e incertezza, ma è l'unica via di uscita praticabile per attenuare, se non evitare, il collasso del sistema.

4- Tale progetto non può che partire dal 'locale'. La produzione industriale, e in particolare la produzione di energia, deve essere diffusa sul territorio e restare nelle mani delle comunità locali. Il modello di produzione e distribuzione polare dell'energia è incompatibile con il progressivo assottigliamento della dispobibilità di risorse fossili e minerali ed è impensabile in assenza o in fase di assottigliamento della disponibilità di combustibili liquidi.

5- L'intero modello di trasporto di merci e persone è legato alla disponibilità di combustibile a buon mercato. Nessuna delle soluzioni proposte per la sostituzione dei combustibili liquidi con altri combustibili (biocombustibili, idrogeno, carbone liquefatto ecc …) è praticabile per un volume di traffico come quello attuale. Il sistema di trasporti attuale è condannato, tanto vale prenderne atto. Le case automobilistiche sono un dinosauro come le compagnie aeree. Quanto di questo potrà restare in piedi non è certo, ma quello che è certo è che si dovrà pensare ad un modo di rispondere alla crisi dell'auto e di tutto il sistema dei trasporti e del suo indotto.
Un modello di trasporto che garantisca una residua capacità di movimento di persone e merci deve essere basato principalmente sul trasporto pubblico perchè, piaccia o meno, la stagione del trasporto automobilistico di massa è al crepuscolo. Con una crescente elettrificazione della produzione di energia, la trazione elettrica potrà diventare un'alternativa praticabile per il trasporto individuale e non, ma non è pensabile, neppure in questo caso, di riproporre il modello “una automobile per ciascuno” per mancanza di risorse.

6- La produzione di cibo è attualmente legata a filo doppio alla disponibilità di combustibili liquidi e perciò di petrolio a buon mercato. L'intera filiera agroalimentare industriale globalizzata va incontro a difficoltà crescenti nella fase di assottigliamento della disponibilità di petrolio. Si deve assecondare e stimolare lo sviluppo di filiere alternative che siano ecologicamente e socialmente sostenibili. Anche in questo caso non si può prescindere da una rilocalizzazione della produzione.

La rilevanza delle questioni sopra elencate in una competizione elettorale democratica come quella attuale è altissima. Le elezioni in questione riguardano infatti in gran parte le regioni che, in Italia, appaiono come la divisione territoriale dimensionalmente più adatta per mettere in atto progetti di gestione e governo dell'emergenza. Un candidato serio dovrebbe promettere di opporsi, o in caso di vittoria di porre fine, ad ogni progetto che nasca da una visione conformistica di crescita economica: blocco dei progetti edilizi, blocco della costruzione di strade e capannoni e di ogni altra infrastruttura che porti a quel drammatico consumo del territorio che ha distrutto il suolo fertile delle nostre regioni, marginalizzato e frammentato gli habitat naturali e saturato, senza altra giustificazione che la crescita indifferenziata, gli ecosistemi con gli scarti del nostro metabolismo sociale ed economico. Riduzione a zero dei rifiuti, blocco della costruzione e dell'uso degli inceneritori. Ripensamento totale della politica energetica: abbandono dei e opposizione ai megaprogetti che implicano una produzione polare dell'energia (rigassificatori, centrali nucleari e termoelettriche) a favore di una produzione distribuita, adatta alle necessità delle comunità locali e basata sull'uso esclusivo delle fonti rinnovabili. Questo porterà quasi certamente ad una riduzione dell'offerta e quindi dei consumi, ma è l'unica via per affrontare realisticamente e da subito l'emergenza. Difesa dei suoli agricoli e ripristino della loro fertilità. L'agricoltura industriale petrolio dipendente è segnata, ci si deve attrezzare per produrre cibo in quantità sufficiente per la popolazione residente. E' abbastanza ovvio che un progetto di totale autonomia alimentare sia di lunga o lunghissima durata, a meno che non sia forzato e traumatico per cause esterne (fatto che non si può escludere), ma prima si comincia a metterlo in atto, meno traumatico sarà il passaggio. Per fare questo le valutazioni sull'uso del suolo devono essere fatte olisticamente con il rigoroso rispetto dei vincoli ecologici e non in ossequio alle (sole?) convenienze economiche. Ad esempio l'uso dei suoli fertili e dei prodotti agricoli per la produzione di biomassa e biocombustibili deve essere valutata in vista dell'uso del suolo come fonte primaria di cibo.

Si deve considerare non solo l'urgenza attuale, ma la sostenibilità di certe produzioni. In un ottica del genere diventa chiaro come il sole che ogni progetto di produzione di biocombustibili deve essere abbandonato, ma anche l'uso della biomassa, utilizzando, ad esempio, gli scarti delle produzioni alimentari, può non essere considerato sostenibile a causa del mancato ritorno al suolo agricolo di una parte sostanziale dei nutrienti necessari al ripristino della fertilità. In poche parole per la sostenibilità si deve adottare non le leggi della politica economica, ma quelle della politica ecologica che tiene conto della natura termodinamica del mondo fisico in cui viviamo, fatto di cui l'economia si è dimenticata sia nella pratica che nella teoria.

Per la sostenibilità si deve altresì smettere di elevare lamenti per la decrescita della natalità. La descrescita della natalità è un fatto positivo che non può che aiutarci ad affrontare gli anni che verranno. Dalla decrescita della natalità si deve, di fatto, passare alla decrescita della popolazione. Questo sarebbe l'obbiettivo sensato da perseguire in ogni regione, nell'intero paese e sul pianeta. Una politica di riduzione demografica non può prescindere da una opportuna politica che affronti il temporaneo invecchiamento della popolazione non come una calamità, ma come un INEVITABILE fenomeno da governare.

Nessuna altra ipotesi può condurre ad alcunchè che somigli ad una politica sensata. Questo è il realismo, questo è essere pragmatici. Il resto appare come il sogno stralunato di una classe politica che non è in grado di comprendere i fenomeni in cui si è trovata ad operare e vive nel mondo dell'intrattenimento- spettacolo- informazione come se fosse il mondo reale. Tale classe politica non può chiedere il mio voto.