La doppia impostura del “rilance”*
Serge Latouche, professore emerito di economia presso l'Università di Orsay.
Introduzione:
Serge Latouche, professore emerito di economia presso l'Università di Orsay.
Introduzione:
Che cosa è il rilance (rigore-rilancio)? Si tratta essenzialmente di ciò che è stato proposto al summit (G8/20) di Toronto, un programma che, contemporaneamente programma rinascita e austerità. Il primo ministro tedesco Angela Merkel ha sostenuto una vigorosa politica di rigore e austerità. Il presidente americano, Barak Obama, temendo di rompere la debole ripresa dell'economia globale e statunitense attraverso una politica deflazionistica, ha sostenuto un rilancio ragionevole.
L'accordo finale è stato raggiunto su una traballante sintesi: il recupero controllato nel rigore e austerità temperata dallo stimolo. Il nostro Ministro dell'Economia, che non era ancora Presidente dell'FMI, Christine Lagarde, poi ha arrischiato il neologismo “rilance" (contrazione di rigore e di rilancio)! Così facendo seguiva le orme del consigliere portare del presidente Sarkozy, Alain Minc, il quale, alla domanda su cosa si dovrebbe fare nella situazione critica causata dalla destabilizzazione degli stati da parte dei mercati finanziari che questi stessi stati avevano salvato dal collasso, ha prodotto questa formula ammirevole: si deve premere sia sul freno che sull'acceleratore.
Tuttavia, denunciare il doppio inganno di questo programma è una triplice sfida per me:
Primo a parlare in questo luogo, la sede del Parlamento europeo a Bruxelles - il tempio della religione della crescita - da una posizione iconoclasta, la decrescita, e di un argomento del quale oltretutto, di nuovo, io non sono un esperto: la Grecia e la crisi del debito sovrano.
Poi, parlando in questo luogo - il tempio della politica - da una posizione di "studioso", e dunque per utilizzare la distinzione e l'analisi di Weber, secondo l'etica della convinzione e non l'etica della responsabilità.
Infine, sostenere un punto di vista paradossale: né rigore né di rilancio!
Nel rifiuto del rigore o dell'austerità posso almeno trovare alleati (anche se un'esigua minoranza) sia tra gli economisti, come Frederic Lordon, che tra I politici, come JL Mélanchon con il suo programma attuale.
Il rifiuto della ripresa della crescita produttivista e l'uscita dalla religione della crescita è una posizione accettata da alcuni ambientalisti nel lungo termine, ma completamente dimenticata per il breve termine.
Ed è comunque a questa triplice sfida che tenterò di rispondere, considerando le due negazioni: quella della ripresa e quella del rigore.
I - Né rigore: Negare l'austerità.
La crisi greca si inserisce nel contesto più ampia di una crisi dell'Euro e di una crisi dell'Europa. E naturalmente una crisi di civiltà della società dei consumi, vale a dire una crisi che mette in connessione una crisi finanziaria, una crisi economica, un crisi sociale, una crisi culturale e una crisi ecologica. La mia convinzione è che risolvendo la crisi dell' Europa e dell'euro, se non la crisi della civiltà consumistica, si risolverà la crisi della Grecia, ma che mantenendo la Grecia attaccata alla flebo, a colpi di prestiti condizionati attraverso cure sempre più severe di austerità, non si salverà né la Grecia né l' Europa e come risultato si saranno gettati i popoli nella disperazione.
Rigettare l'austerità presuppone l'eliminazione dei due tabù che sono alla base della costruzione europea: l'inflazione e il protezionismo
Il progetto della decrescita, vale a dire quello di costruire una società di abbondanza frugale e prosperità senza crescita, prevede la riabilitazione di due fenomeni che sono stati oggetto di politiche sistematiche nel passato: protezionismo e inflazione. Politiche tariffarie sistematiche di costruzione e ricostruzione del sistema produttivo, di difesa delle attività nazionali e di protezione sociale, e quella del finanziamento del deficit di bilancio da un ricorso motivato alla emissione di moneta che produce quel "lieve innalzamento del livello dei prezzi" (bassa inflazione) sostenuto da Keynes, ha accompagnato la crescita eccezionale delle economie occidentali dopo la guerra, il periodo che viene indicato in Francia con l'epiteto de “i trent'anni gloriosi” - a ben vedere l'unico periodo della storia moderna in cui le classi lavoratrici hanno goduto di un relativo benessere. Entrambi gli strumenti sono stati vietati dalla controrivoluzione neo-liberale e le politiche che le raccomandano sono oggi anatemizzate, anche se tutti i governi che possono vi fanno ricorso in modo più o meno occulto e insidioso.
Come tutti gli strumenti, il protezionismo e l'inflazione possono avere effetti negativi e perversi – e sono soprattutto questi effetti che vediamo oggi del loro uso vergognoso1- ma è essenziale servirsene in maniera intelligente per risolvere in modo socialmente soddisfacente l'attuale crisi. Evitare il disastro di una austerità deflazionista, ma anche il disastro di una ripresa produttivista.
Ora per realizzare ciò, è probabilmente necessario uscire dall'euro, se non è possibile correggerne le storture. Dobbiamo riappriopriarci della moneta che dovrebbe ritrovare il suo posto: per servire e non asservire. La moneta può essere un buon servitore, ma è sempre un cattivo padrone.
Notiamo per prima cosa che la ripresa della signora Lagarde non è la ripresa produttivista di Joseph Stiglitz, è il rilancio dell'economia del casinò, essenzialmente quella della speculazione borsistica e immobiliare.
E infatti, per i governi in carica, lo slogan "E la ripresa, e l'austerità": significa il rilancio del capitale e l'austerità per le popolazioni. In nome del rilancio, d'altronde in gran parte illusorio, degli investimenti e quello totalmente falso dell'occupazione, si riducono o si sopprimono le imposte sociali, le tasse professionali e le imposte sugli utili d'impresa. Si rinuncia a tutte le tassazioni dei superprofitti bancari e finanziari, nel momento in cui l'austerità colpisce i salariati e le classi medie e basse, con la riduzione delle remunerazioni, delle prestazioni sociali, e l'aumento dell'età legale di pensionamento (che significa concretamente una riduzione del montante). Per completare il tutto e preparare la mitica ripresa, si smantellano sempre di più i servizi pubblici si privatizza a tutto spiano ciò che non lo è ancora stato, con una cancellazione massiccia di posti di lavoro (nell'istruzione, nella sanità, ecc) . Si assiste ad una strana competizione masochista all'austerità. Il paese A annuncia salari più bassi del 20% subito, il paese B annuncia che farà meglio con il 30%, mentre C per non essere da meno si affretta ad aggiungere ulteriori misure più severe. Il tutto sommato alla onnipresente pubblicità che spinge a continuare a consumare sempre di più senza avere i mezzi e a indebitarsi senza avere prospettive di rimborso del debito, si dovrebb in qualche modo espiare la pseudo-festa consumista continuando a nutrirla nella morosità.
Questa stupida politica di austerità non può che portare ad un ciclo deflazionistico che farà precipitare la crisi che lo stimolo puramente speculative non impedirà; e gli Stati ormai esangui non potranno più questa volta salvare le banche a colpi di migliaia di miliardi di dollari.
Questa politica non è solo immorale, ma è anche assurda. Avremo la bancarotta dell'euro se non dell'Europa e la catastrofe sociale.
Tuttavia, denunciare il doppio inganno di questo programma è una triplice sfida per me:
Primo a parlare in questo luogo, la sede del Parlamento europeo a Bruxelles - il tempio della religione della crescita - da una posizione iconoclasta, la decrescita, e di un argomento del quale oltretutto, di nuovo, io non sono un esperto: la Grecia e la crisi del debito sovrano.
Poi, parlando in questo luogo - il tempio della politica - da una posizione di "studioso", e dunque per utilizzare la distinzione e l'analisi di Weber, secondo l'etica della convinzione e non l'etica della responsabilità.
Infine, sostenere un punto di vista paradossale: né rigore né di rilancio!
Nel rifiuto del rigore o dell'austerità posso almeno trovare alleati (anche se un'esigua minoranza) sia tra gli economisti, come Frederic Lordon, che tra I politici, come JL Mélanchon con il suo programma attuale.
Il rifiuto della ripresa della crescita produttivista e l'uscita dalla religione della crescita è una posizione accettata da alcuni ambientalisti nel lungo termine, ma completamente dimenticata per il breve termine.
Ed è comunque a questa triplice sfida che tenterò di rispondere, considerando le due negazioni: quella della ripresa e quella del rigore.
I - Né rigore: Negare l'austerità.
La crisi greca si inserisce nel contesto più ampia di una crisi dell'Euro e di una crisi dell'Europa. E naturalmente una crisi di civiltà della società dei consumi, vale a dire una crisi che mette in connessione una crisi finanziaria, una crisi economica, un crisi sociale, una crisi culturale e una crisi ecologica. La mia convinzione è che risolvendo la crisi dell' Europa e dell'euro, se non la crisi della civiltà consumistica, si risolverà la crisi della Grecia, ma che mantenendo la Grecia attaccata alla flebo, a colpi di prestiti condizionati attraverso cure sempre più severe di austerità, non si salverà né la Grecia né l' Europa e come risultato si saranno gettati i popoli nella disperazione.
Rigettare l'austerità presuppone l'eliminazione dei due tabù che sono alla base della costruzione europea: l'inflazione e il protezionismo
Il progetto della decrescita, vale a dire quello di costruire una società di abbondanza frugale e prosperità senza crescita, prevede la riabilitazione di due fenomeni che sono stati oggetto di politiche sistematiche nel passato: protezionismo e inflazione. Politiche tariffarie sistematiche di costruzione e ricostruzione del sistema produttivo, di difesa delle attività nazionali e di protezione sociale, e quella del finanziamento del deficit di bilancio da un ricorso motivato alla emissione di moneta che produce quel "lieve innalzamento del livello dei prezzi" (bassa inflazione) sostenuto da Keynes, ha accompagnato la crescita eccezionale delle economie occidentali dopo la guerra, il periodo che viene indicato in Francia con l'epiteto de “i trent'anni gloriosi” - a ben vedere l'unico periodo della storia moderna in cui le classi lavoratrici hanno goduto di un relativo benessere. Entrambi gli strumenti sono stati vietati dalla controrivoluzione neo-liberale e le politiche che le raccomandano sono oggi anatemizzate, anche se tutti i governi che possono vi fanno ricorso in modo più o meno occulto e insidioso.
Come tutti gli strumenti, il protezionismo e l'inflazione possono avere effetti negativi e perversi – e sono soprattutto questi effetti che vediamo oggi del loro uso vergognoso1- ma è essenziale servirsene in maniera intelligente per risolvere in modo socialmente soddisfacente l'attuale crisi. Evitare il disastro di una austerità deflazionista, ma anche il disastro di una ripresa produttivista.
Ora per realizzare ciò, è probabilmente necessario uscire dall'euro, se non è possibile correggerne le storture. Dobbiamo riappriopriarci della moneta che dovrebbe ritrovare il suo posto: per servire e non asservire. La moneta può essere un buon servitore, ma è sempre un cattivo padrone.
Notiamo per prima cosa che la ripresa della signora Lagarde non è la ripresa produttivista di Joseph Stiglitz, è il rilancio dell'economia del casinò, essenzialmente quella della speculazione borsistica e immobiliare.
E infatti, per i governi in carica, lo slogan "E la ripresa, e l'austerità": significa il rilancio del capitale e l'austerità per le popolazioni. In nome del rilancio, d'altronde in gran parte illusorio, degli investimenti e quello totalmente falso dell'occupazione, si riducono o si sopprimono le imposte sociali, le tasse professionali e le imposte sugli utili d'impresa. Si rinuncia a tutte le tassazioni dei superprofitti bancari e finanziari, nel momento in cui l'austerità colpisce i salariati e le classi medie e basse, con la riduzione delle remunerazioni, delle prestazioni sociali, e l'aumento dell'età legale di pensionamento (che significa concretamente una riduzione del montante). Per completare il tutto e preparare la mitica ripresa, si smantellano sempre di più i servizi pubblici si privatizza a tutto spiano ciò che non lo è ancora stato, con una cancellazione massiccia di posti di lavoro (nell'istruzione, nella sanità, ecc) . Si assiste ad una strana competizione masochista all'austerità. Il paese A annuncia salari più bassi del 20% subito, il paese B annuncia che farà meglio con il 30%, mentre C per non essere da meno si affretta ad aggiungere ulteriori misure più severe. Il tutto sommato alla onnipresente pubblicità che spinge a continuare a consumare sempre di più senza avere i mezzi e a indebitarsi senza avere prospettive di rimborso del debito, si dovrebb in qualche modo espiare la pseudo-festa consumista continuando a nutrirla nella morosità.
Questa stupida politica di austerità non può che portare ad un ciclo deflazionistico che farà precipitare la crisi che lo stimolo puramente speculative non impedirà; e gli Stati ormai esangui non potranno più questa volta salvare le banche a colpi di migliaia di miliardi di dollari.
Questa politica non è solo immorale, ma è anche assurda. Avremo la bancarotta dell'euro se non dell'Europa e la catastrofe sociale.
Aspettando questa eventualità, se gli oppositori della crescita fossero stati chiamati a gestire gli affari della Grecia, per esempio, quale sarebbe la loro politica?
Il ripudio puro e semplice del debito, cioè la bancarotta dello Stato sarebbe la cura da cavallo che risolverebbe il problema eliminandolo. Tuttavia, questa soluzione radicale, chenon è da escludere e troverebbe il favore dei “decrescenti”, rischierebbe di precipitare il paese nel caos.
Il problema, infatti, è che in pratica, la crisi del debito degli Stati non è che un pezzetto del problema. La risposta teorica al solo problema del debito degli Stati che, anche per i più indebitati, è di circa l'ammontare del PIL, è molto più facile che quella riguardante la soluzione del problema dell'inflazione globale dei crediti derivanti dalla speculazione finanziaria2. La minaccia del rischio sistemico è tutt'altro che scartata.
Per quanto riguarda il debito pubblico, la sua cancellazione rischierebbe di colpire le banche e gli speculatori, ma anche direttamente o indirettamente i piccoli investitori che hanno dato fiducia al loro stato o che a loro insaputa si sono visti rifilare dalla propria banca e involontariamente investimenti complessi che includono titoli sospetti. Una riconversione negoziata (che equivale a un fallimento parziale), come è stato fatto in Argentina dopo il crollo del peso, o dopo una verifica, come proposto da Eric Toussaint e da una coalizione di ONG per determinare la quantità abusiva del debito, è probabilmente preferibile. Si potrebbe anche provvedere al mantenimento delle garanzie per i piccoli azionisti e a un deprezzamento dal 40 al 60% per gli altri o di ricorrere a un taglio fiscale3. Per cancellare il debito residuo, si potrebbe proporre un aumento delle entrate fiscali con un prelievo eccezionale sui profitti finanziari, così come si è fatto in Ungheria, non sarebbe mal vista e l'introduzione della tassazione progressiva con, in primo luogo, nel caso francese con l'abbandono reale dello scudo fiscale e delle scandalose nicchie di rendita.
In una società della crescita senza crescita, che corrisponde grosso modo alla situazione attuale, lo Stato è condannato ad imporre ai cittadini l'inferno austerità, prima di tutto con la distruzione dei servizi pubblici e la privatizzazione di ciò che è ancora possibile vendere dei gioielli di famiglia. In tal modo si corre il rischio di creare una deflazione e di entrare nel ciclo infernale di una spirale depressiva. E 'proprio per evitare questo che si dovrebbe intraprendere l'uscita dalla società della crescita e costruire una società in descrescita.
II né rilancio: Uscire dalla religione della crescita.
Di fronte a questa minaccia molto presente, delle anime belle, come Joseph Stiglitz, raccomandano le vecchie ricette keynesiane di rilancio dei consumi e degli investimenti per far ripartire la crescita. Questa terapia non è auspicabile. Non è auspicabile, perché il pianeta non la può più sopportare, forse non possibile, perché, a causa del depauperamento delle risorse naturali (in senso lato), già in atto dagli anni 70', i costi della crescita (quando si è verificata) sono superiori ai suoi benefici. I guadagni di produttività attesi sono pari a zero o quasi zero. Dovrebbero essere ulteriormente privatizzate e mercificate le ultime riserve di vita sociale e far crescere il valore di una massa invariata o in diminuzione di valori d'uso, per estendere di pochi anni l'illusione della crescita.
Tuttavia, il programma socialdemocratico, che è la ragione sociale dei partiti di opposizione non è credibile, anche perché questi partiti non sono in grado di rimettere in discussione la catena di ferro del quadro neo-liberale che 'essi stessi hanno contribuito a costruire negli ultimi 30 anni che implica una sottomissione senza eccezioni al dogma monetarista. L'esempio della Grecia è da questo punto di vista sufficientemente eloquente.
Si tratta di uscire dall'imperativo della crescita, cioè, di rifiutare la ricerca ossessiva della crescita. Quest'ultima non è ovviamente (e non dovrebbe essere) un fine in sé; essa non è più un modo per eliminare la disoccupazione4. Si deve tentare di costruire una società dell'abbondanza frugale, o per dirla come Tim Jackson di prosperità senza crescita.
In effetti, l'obiettivo primario della transizione dovrebbe essere la ricerca della piena occupazione per porre rimedio alla miseria di una parte della popolazione. Questo potrebbe essere fatto attraverso una rilocalizzazione sistematica delle attività utili, un attività di riconversione graduale delle attività parassitarie come la pubblicità o nocive come il nucleare e la produzione di armi, e una riduzione programmata e significativa del tempo di lavoro. Per il resto, è il ricorso alla stampa di cartamoneta, e quindi ad una inflazione controllata (diciamo più o meno del 5% l'anno) che noi raccomandiamo. La soluzione keynesiana equivale alla scelta di una moneta fondente che stimola l'attività economica, senza tornare alla logica della crescita illimitata, favorendo la soluzione dei problemi causati dall'abbandono della religione della crescita.
Naturalmente, questo bel programma è più facile a dirsi che a farsi. Nel caso della Grecia richiede come minimo di uscire dell'euro e ripristinare la Dracma, probabilmente non convertibile, con tutto ciò che questo comporta: controllo dei cambi e ricostituzione delle dogane. Il necessario protezionismo selettivo richiesto da questa strategia farebbe inorridire gli esperti di Bruxelles e del WTO. Ci si dovrebbe dunque attendere misure di ritorsione e tentativi esterni di destabilizzare coordinati con gli atti di sabotaggio da parte degli interessi lesi all'interno. Questo programma sembra molto utopico oggi, ma quando si arriverà al fondo del marasma e della crisi reale che abbiamo di fronte, sembrerà auspicabile e realistico.
Conclusione:
Nell'antica tragedia greca, la catastrofe è l'argomento della strofa finale. E noi siamo a questo punto. Un popolo vota in massa per il Partito Socialista il cui programma è stato classicamente socialdemocratico e, sotto la pressione dei mercati finanziari, si vede imposta una politica di austerità neo-liberale da quello stesso partito, in obbedienza agli ordini congiunti di Bruxelles e del Fondo Monetario Internazionale. L'Euro impedisce alla Grecia di fare cio che l'Islanda ha potuto fare: rifiutare democraticamente il diktat. E 'chiaro che probabilmente la maggioranza del popolo greco non accetterebbe, e in ogni caso non facilmente, le conseguenze delle cesure necessarie per una diversa politica (uscita dall'Euro, ripudio almeno parziale del debito pubblico, probabile messa al bando da parte dell'Europa ed embargo dei paesi danneggiati, fughe di capitali, ecc). Ma le "lacrime e sangue", prendendo le famose parole di Churchill, ci sono già, ma senza la speranza di vittoria. Il progetto della decrescita non promette di evitare il sangue e le lacrime nell'economia, ma almeno apre la porta della speranza. L'unico modo per sfuggire a questo stato di cose, ce lo auguriamo vivamente, sarebbe quello di riuscire a far uscire l'Europa dalla dittatura dei mercati e costruire l'Europa della solidarietà e della convivialità, questo cemento del legame sociale che Aristotele chiamava filia.
* Rilance, è un neologismo coniato, come spiegato nel testo, dal ministro francese dell'economia come contrazione delle parole francesi rigeur (rigore) e relance (rilancio). Uno dei tanti ossimori come le convergenze parallele e lo sviluppo sostenibile.
1. Secondo la Banca mondiale, il risultato del protezionismo agricolo del Nord determinerebbe un mancato guadagno di 50 miliardi di dollari all'anno per i paesi esportatori del Sud del mondo. Il deputato verde tedesco, Sven Giegold, ne ha dato un altro esempio con la politica fiscale tedesca di rinforzo alle esportazioni.
2. Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea, infatti, nel febbraio 2008 la creazione di prodotti derivati raggiungeva il valore di 600.000 miliardi di dollari cioè da 11 a 15 volte il prodotto mondiale! Sotto questo aspetto, a parte il collasso, neppure la descrescita garantisce la cura miracolosa per un atterraggio morbido ...
3. Questo è quanto propone Thomas Piket in un articolo del quotidiano Libération del 28 giugno. Si tratta di far pagare aelle banche una parte dei rimborsi del debito.
4. Secondo i calcoli da Albert Jacquard (J'accuse l'économie triomphante, Calmann Lévy 1995 / Pocket 2004, p. 63), si stima che la crescita del PIL francese del 4% all'anno, si tradurrebbe in una diminuzione del tasso di disoccupazione del 2%. A questo ritmo, in cinquanta anni, il PIL si moltiplicherebbe per 7 (+ 600%) ma il numero dei disoccupati sarebbe ridotto solo del 64%. Dal momento che la disoccupazione in tutte le categorie, conivolgeva cinque milioni di persone nel 2010, saremmo ancora lontani dalla piena occupazione nel 2060, poiché resterebbero un po 'meno di 2 milioni di disoccupati.
*Rilance, è un neologismo coniato, come spiegato nel testo, dal ministro francese dell'economia come contrazione delle parole rigeur (rigore) e relance (rilancio).
Io non so se, e quando, l'Europa riuscirà ad uscire dalla religione della crescita a tutti i costi, ma per il momento mi pare che siamo ancora MOLTO distanti.
RispondiEliminaPertanto tutte le cirsi economiche (Gracia et similia) verranno affrontante con gli strumenti attuali.
Le idee di Latouche sono innovative ed interessanti, ma non mi sento di condividerle tutte.
Sicuramente, il ritorno all'inflazione programamta potrebbe in effetti dare ossigeno all'occupazione, ma restano 2 problemi molto gravi:
1- l'inflazione è comunque una tassa occulta, che la gente paga senza sapere, e non essendo progressiva colpisce di più i meno abbienti
2 - una volta che un governo sia autorizzato ad un po' di inflazione, fa presto a farsi prendere la mano e la percentuale "programmata" finisce fatalmente fuori controllo.
Io comunque penso che le idee di Latouche debbano essere fatte conoscere, si può non condividere tutto ovviamente.
RispondiEliminaIl signor Latouche propone per l'Europa una riduzione della produzione e il ricorso alla stampa di cartamoneta. Ciò secondo i maghi della decrescita "felice" produrrebbe la riduzione del Pil e "miracolosamente" l'aumento della occupazione. Addirittura Latouche parla del 30% in più in agricoltura (da cui i nostri giovani sono letteralmente fuggiti via negli ultimi 50anni. Ci sarebbe, secondo coloro che si richiamano candidamente all'utopia, un accorrere generale verso l'economia localizzata dove il piccolo e' bello. Non so perche' ma tutto ciò mi fa tanto pensare a Pinocchio. La stampa di moneta, sempre stando a quanto dichiara Latouche, darebbe luogo alla "inflazione programmata" dove per programmata si intende che tutto sarebbe sotto controllo e ben diretto. Da chi? Probabilmente dalla Fata Turchina...La storia economica degli anni 70 ha dimostrato invece che la stampa di moneta porta alla inflazione tour court. E l'inflazione significa spaventoso impoverimento per poveri e salariati, stagnazione economica, aumento del differenziale tra poveri e ricchi (i quali hanno proprietà e titoli e risentono meno della perdita di valore della moneta). Alla fine degli anni settanta le politiche inflazionistiche occidentali portarono al botto economico con una crisi senza precedenti, disoccupazione e inflazione a due cifre, tanto che ci fu la rivoluzione liberista di Reagan e Tatcher. Mi pare dunque che la cosa più urgente da fare sia togliere la cattedra di economia al professor Latouche prima che faccia ulteriori danni. Il signor Latouche per finire parla continuamente di decrescita, aggiungendovi l'aggettivo "felice"perché anche lui intuisce che nel ragionamento c'è qualcosa che non quadra: decrescita dell'economia, decrescita della produzione, decrescita del commercio ecc. L'unica decrescita di cui Latouche non parla e quella della sovrappopolazione del pianeta. L'unica vera causa di fondo del disastro ambientale, dell'inquinamento, delle malattie diffusive, delle migrazioni, delle carestie, delle guerre e delle crisi economiche internazionali, secondo Latouche, non merita alcuna decrescita felice.
RispondiEliminaAnzitutto va detto che la decrescita economica non è una scelta, ma una tragica necessità, causata dalla finitezza delle materie prime.
RispondiEliminaIn effetti, parlare di decrescita senza persupporre una riduzione significativa della popolazione non ha alcuna senso.
Se davvero le teorie di Latouche (che non conosco in modo approfondito) non prevedono la riduzione della popolazione, restano utopiche ed inapplicabili.
Caro Agobit, le "rivoluzioni" di cui parli non hanno promosso la prosperità, ma un aumento del differenziale fra ricchi e poveri che nel momento presente è spaventoso. Inoltre utopia (decrescista) per utopia (libero mercato) ognuno sceglie la sua secondo le sue sensibilità. Ma riconosco che anche a me non convince l'opzione statalista neo-keynesiana più di quella neo-liberale. Le cattedre di economia andrebbero tolte a tutti, anche quelli che oggi danno le informazioni alle fate turchine del FMI, del WTI e della WB che sono poi quelli che dirigono. Istituzioni sovranazionali che fanno l'interessa di una ristretta oligarchia economica, anzi ne sono l'espressione. Per questo la posizione di Latouche mi ispira qualche simpatia. La popolazione è una componente con una forte inerzia dubito che possa essere l'unica a dare una risposta all'overshoot e alla crisi ecologica. A meno che non si pensi ad una riduzione drastica e veloce cioè attraverso il collasso.
RispondiEliminaLumen, su quello che dici siamo d'accordo. Non c'è decrescita senza decrescita demografica, ma questo è il tabù di tutti i movimenti ecologisti e di giustizia sociale come dice Madaleine Weld nel breve saggio che stiamo per pubblicare sul prossimo numero di Overshoot. Non ne parlano perché per la sinistra parlare di sovrappopolazione è razzista e anti-femminista. Mentre per la destra non deve esistere problema delle risorse. I liberisti doc invece hanno la loro utopia: il libero mercato compone tutte le contraddizioni e risolve tutti i problemi e se ci sono dei problemi persistenti vuol dire che non c'è abbastanza libero mercato. Mi ricordano i comunisti doc quando dicevano che il comunismo era un ideale perfetto, le sue realizzazioni pratiche avevano tradito l'Idea. Sulla natura del mercato in relazione alle questioni ecologiche e anche sociali hanno detto cose importanti autori che non sono certamente marxisti come Polany e Georgescu Roengen, come pure i teorici dello stato stazionario.
RispondiEliminaHo letto l'articolo un po' sommariamente, ma di fondo né condivido i punti salienti.
RispondiEliminaNon credo che sia una teoria di Latouche, ma il semplice buon senso di chi vede le cose per quello che sono. Purtroppo, però, in Italia e più in generale, nel mondo occidentale, ma anche in quello orientale in questi ultimi anni, vale la vulgata dell'economia fondata sul debito: più debito si crea maggiormente più denaro circola, perché si è più spinti a cercarlo per ripianare il debito.
Sono teorie liberistiche del mercato libero, libero finché si può controllare. Il caso dell'Islanda, ma nessuno parla, che ha cassato i debiti senza troppi fronzoli; ha attuato una selvaggia svalutazione, ma adesso l'economia, in virtù della propria moneta e della propria piccola economia e della statalizzazione delle banche commerciali che hanno creato il "botto" l'Islanda sta risorgendo lì dove non più tardi di qualche mese fa nessuno ci avrebbe scommesso.
Ma in Italia, in Grecia e in Spagna questo non sarà, per ora, mai possibile e la questione non è di carattere puramente economico-finanzario, ma verte su aspetti molto più ampi, in cui la logica finanziaria è solo lo strumento, meglio il grimaldello per altre strategie.
Io non credo che il liberismo abbia a che fare con lo stato di cose presenti del turbo-capitalismo globalizzato controllato da una sparuta oligarchia, più di quanto il totalirismo sovietico, cinese o cambogiano avessero a che fare con il comunismo e la dottrina delle gerarchie vaticane con il messaggio di Cristo. Sono solo assonanze. Viene da pensare che le Idee servano sempre per realizzare il peggio. Allora? Che sia meglio non averne?
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