domenica 31 luglio 2011

Risorse rinnovabili e risorse non rinnovabili.

Penuria di bisonti? Quale penuria di bisonti dammi abbastanza soldi per i fucili e gli esploratori e ti porterò tutti i bisonti di cui hai bisogno.

mercoledì 13 luglio 2011

Che non si dica che nessuno l'aveva previsto!

L'11 luglio è uscito su The Oil Drum un commento di Euan Mearns. Ne traduco le parti principali per chi ha difficoltà a leggere in inglese perché contiene una visione della crisi molto comune nell'ambiente dei picchisti.

Petrolio a 100$. Il conto alla rovescia- un appuntamento con la storia?
di Euan Mearns


In due occasioni storiche precedenti, il prezzo medio del petrolio annuale ha toccato 100 dollari al barile e questo fatto è stato seguito da una recessione. Al momento in cui scrivo (7 luglio) la media annua del Brent è di 95,4 dollari, sulla buona strada per superare i 100 dollari nel mese di settembre. Sarà la storia che si ripete? O è l'economia mondiale è diventata immune agli alti prezzi dell'energia?

Un modello semplice che è diventato popolare tra i commentatori ribassisti sul picco del petrolio è che l'alto prezzo del petrolio, causato dalla crescente scarsità di petrolio a buon mercato, può portare alla recessione. Mentre i consumatori spendono di più per benzina e altri servizi energetici quali l'energia elettrica e il gas naturale, la ricchezza che rimane da spendere in iPad, vino e vacanze diventa sempre meno, causando recessione in tutti i settori non energetici dell'economia. I prezzi elevati dell'energia portano anche ad un'inflazione che in un mondo monetarista dovrebbe essere schiacciata da tassi di interesse più elevati, anche se i banchieri centrali sembrano fin troppo consapevoli del fatto che ora tassi di interesse più elevati e alti prezzi dell'energia ammazzerebbero la crescita economica in molti paesi OCSE e, così facendo, porterebbero molte importanti economie, ultra-indebitate, verso l'insolvenza.




Variazione storica del prezzo del barile del Brent.
Ho postato versioni aggiornate di questa figura numerose volte negli ultimi mesi. La linea di tendenza ottenuta estrapolando la media annuale del Brent indica il superamento dei 100 $ a settembre. Il massimo del 2008, pari a 143$ fu raggiunto il 3 luglio. Le olimpiadi cinesi iniziarono l'8; il 15 settembre Lehman Brothers presentava istanza di fallimento. Il massimo del 2011 (fino ad ora) è più basso [di quello del 2008] 126$ raggiunto il 28 aprile. La sequenza del 2008/2009 fu Picco del prezzo del petrolio, crisi finanziaria e vera e propria recessione nel 2009. Quella sequenza di eventi è iniziata con la relativamente piccola e sconosciuta banca britannica Northern Rock che andava in difficoltà nei mesi di agosto e settembre 2007.


I paesi OCSE più indebitati come il Regno Unito (Stati Uniti, Spagna e Italia) hanno bisogno di una forte crescita economica per produrre il surplus fiscale necassario per pagare gli interessi sui debiti esistenti e di ripagare il debito principale. Dopo il collasso del 2008 / 09 il ritorno di una forte crescita che desiderabile e necessaria non si è materializzata secondo i piani in molti paesi e ci sono solo indizi che il mainstream stia iniziando a capire il problema di fondo: vale a dire gli alti prezzi dell'energia. Ma è qui che ci si imabatte nel Comma 22. Una forte crescita economica, in un mondo con vincoli energetici, porta inevitabilmente all'aumento dei prezzi dell'energia, smorzando la crescita prima che essa abbia fatto diffondere la prosperità. Comprendere le radici del problema è il primo passo. Capire come affrontarlo, se può essere affrontato, è una questione diversa. La recente mossa dell'IEA di razziare le riserve strategiche di petrolio dell'OCSE per 18 ore di consumo mondiale di petrolio è stato un approccio totalmente inopportuno, e anche inutile visto che il tentativo di domare i prezzi del petrolio è fallito.

Non ci sono soluzioni semplici a questo problema. Ma un buon primo passo è quello di diventare molto più intelligenti nel modo in cui usiamo le nostre riserve di petrolio rimanente e le risorse energetiche in generale, per garantire i servizi energetici che le nostre economie richiedono con l'utilizzo di quantità molto più piccole di energia.

Sono diventato diffidente nel fare previsioni. Ma è mia opinione che l'economia mondiale, e in particolare alcune principali economie OCSE, abbiano rallentato nel secondo trimestre del 2011. I primi rapporti per la crescita Regno Unito mostrano una stagnazione a 0,1%. L'autorevole economista e giornalista del Financial Times Gavyn Davies vede anche l'economia globale in via di indebolimento. Nel Regno Unito, questo sarà attribuito al taglio della spesa pubblica e all'aumento troppo veloce delle tasse, ma la realtà è che noi come paese continuiamo a vivere ben oltre i nostri mezzi e non possono permetterci di importare quantità sempre maggiori di energia costosa per alimentare le attività del tempo libero della nostra popolazione di pensionati in rapida crescita.

La stagnazione della crescita in Gran Bretagna sarà in gran parte causata da un prezzo del petrolio insostenibile– che sta già trascinando l'economia mondiale sull'orlo del baratro. L'interessante storia del legame fra alti prezzi del petrolio e recessione si sta svolgendo sotto i nostri occhi e tornerò su questo tema in modo regolare nei prossimi mesi perché nessuno possa dire: "nessuno ha visto ciò che stava arrivando".

lunedì 11 luglio 2011

Overshoot.

Oggi è il World Population day.
Rientrodolce vi partecipa con il proprio bollettino Overshoot che siamo riusciti a chiudere serata di ieri.
Come sempre è un bel malloppo.
Spero possa interessarvi.



Overshoot è il bollettino dell'associazione Rientrodolce e si occupa di riportare dati, fatti e opinioni che riguardano la sovrappopolazione. Il nome Overshoot viene dalla definizione che se ne da in ecologia. Riporto di seguito da definizione di Overshoot data nel glossario del Global Footprint Network (l'Istituzione che misura l'Impronta Ecologica umana a livello globale e dei singoli paesi).

Overshoot: l'overshoot globale si verifica quando la domanda dell'umanità sulla natura supera l'offerta della biosfera, e la sua capacità rigenerativa.
Tale superamento porta ad un impoverimento 
del capitale naturale che sostiene la vita sulla Terra e all'accumulo di rifiuti, come l'anidride carbonica nell'atmosfera.
A livello globale, deficit ecologico e overshoot sono la stessa cosa, poiché non vi è alcuna rete di importazione delle risorse per il pianeta.
Overshoots
locali si verificano quando un ecosistema locale viene sfruttato più rapidamente di quanto può rigenerarsi.

giovedì 7 luglio 2011

Intervento di Latouche sulla Grecia.





La doppia impostura del “rilance*

Serge Latouche, professore emerito di economia presso l'Università di Orsay.
Introduzione:

Che cosa è il rilance (rigore-rilancio)? Si tratta essenzialmente di ciò che è stato proposto al summit (G8/20) di Toronto, un programma che, contemporaneamente programma rinascita e austerità. Il primo ministro tedesco Angela Merkel ha sostenuto una vigorosa politica di rigore e austerità. Il presidente americano, Barak Obama, temendo di rompere la debole ripresa dell'economia globale e statunitense attraverso una politica deflazionistica, ha sostenuto un rilancio ragionevole.

L'accordo finale è stato raggiunto su una traballante sintesi: il recupero controllato nel rigore e austerità temperata dallo stimolo. Il nostro Ministro dell'Economia, che non era ancora Presidente dell'FMI, Christine Lagarde, poi ha arrischiato il neologismo “rilance" (contrazione di rigore e di rilancio)! Così facendo seguiva le orme del consigliere portare del presidente Sarkozy, Alain Minc, il quale, alla domanda su cosa si dovrebbe fare nella situazione critica causata dalla destabilizzazione degli stati da parte dei mercati finanziari che questi stessi stati avevano salvato dal collasso, ha prodotto questa formula ammirevole: si deve premere sia sul freno che sull'acceleratore.

Tuttavia, denunciare il doppio inganno di questo programma è una triplice sfida per me:

Primo a parlare in questo luogo, la sede del Parlamento europeo a Bruxelles - il tempio della religione della crescita - da una posizione iconoclasta, la decrescita, e di un argomento del quale oltretutto, di nuovo, io non sono un esperto: la Grecia e la crisi del debito sovrano.

Poi, parlando in questo luogo - il tempio della politica - da una posizione di "studioso", e dunque per utilizzare la distinzione e l'analisi di Weber, secondo l'etica della convinzione e non l'etica della responsabilità
.

Infine, sostenere un punto di vista paradossale: né rigore né di rilancio!

Nel rifiuto del rigore o dell'austerità posso almeno trovare alleati (anche se un'esigua minoranza) sia tra gli economisti, come Frederic Lordon, che tra I politici, come JL Mélanchon con il suo programma attuale.

Il rifiuto della ripresa della crescita produttivista e l'uscita dalla religione della crescita è una posizione accettata da alcuni ambientalisti nel lungo termine, ma completamente dimenticata per il breve termine.

Ed è comunque a questa triplice sfida che tenterò di rispondere, considerando le due negazioni: quella della ripresa e quella del rigore.

I - Né rigore: Negare l'austerità.

La crisi greca si inserisce nel contesto più ampia di una crisi dell'Euro e di una crisi dell'Europa. E naturalmente una crisi di civiltà della società dei consumi, vale a dire una crisi che mette in connessione una crisi finanziaria, una crisi economica, un crisi sociale, una crisi culturale e una crisi ecologica. La mia convinzione è che risolvendo la crisi dell' Europa e dell'euro, se non la crisi della civiltà consumistica, si risolverà la crisi della Grecia, ma che mantenendo la Grecia attaccata alla flebo, a colpi di prestiti condizionati attraverso cure sempre più severe di austerità, non si salverà né la Grecia né l' Europa e come risultato si saranno gettati i popoli nella disperazione.

Rigettare l'austerità presuppone l'eliminazione dei due tabù che sono alla base della costruzione europea: l'inflazione e il protezionismo

Il progetto della decrescita, vale a dire quello di costruire una società di abbondanza frugale e prosperità senza crescita, prevede la riabilitazione di due fenomeni che sono stati oggetto di politiche sistematiche nel passato: protezionismo e inflazione. Politiche tariffarie sistematiche di costruzione e ricostruzione del sistema produttivo, di difesa delle attività nazionali e di protezione sociale, e quella del finanziamento del deficit di bilancio da un ricorso motivato alla emissione di moneta che produce quel "lieve innalzamento del livello dei prezzi" (bassa inflazione) sostenuto da Keynes, ha accompagnato la crescita eccezionale delle economie occidentali dopo la guerra, il periodo che viene indicato in Francia con l'epiteto de “i trent'anni gloriosi” - a ben vedere l'unico periodo della storia moderna in cui le classi lavoratrici hanno goduto di un relativo benessere. Entrambi gli strumenti sono stati vietati dalla controrivoluzione neo-liberale e le politiche che le raccomandano sono oggi anatemizzate, anche se tutti i governi che possono vi fanno ricorso in modo più o meno occulto e insidioso.

Come tutti gli strumenti, il protezionismo e l'inflazione possono avere effetti negativi e perversi – e sono soprattutto questi effetti che vediamo oggi del loro uso vergognoso1- ma è essenziale servirsene in maniera intelligente per risolvere in modo socialmente soddisfacente l'attuale crisi. Evitare il disastro di una austerità deflazionista, ma anche il disastro di una ripresa produttivista.

Ora per realizzare ciò, è probabilmente necessario uscire dall'euro, se non è possibile correggerne le storture. Dobbiamo riappriopriarci della moneta che dovrebbe ritrovare il suo posto: per servire e non asservire. La moneta può essere un buon servitore, ma è sempre un cattivo padrone.

Notiamo per prima cosa che la ripresa della signora Lagarde non è la ripresa produttivista di Joseph Stiglitz, è il rilancio dell'economia del casinò, essenzialmente quella della speculazione borsistica e immobiliare.

E infatti, per i governi in carica, lo slogan "E la ripresa, e l'austerità": significa il rilancio del capitale e l'austerità per le popolazioni. In nome del rilancio, d'altronde in gran parte illusorio, degli investimenti e quello totalmente falso dell'occupazione, si riducono o si sopprimono le imposte sociali, le tasse professionali e le imposte sugli utili d'impresa. Si rinuncia a tutte le tassazioni dei superprofitti bancari e finanziari, nel momento in cui l'austerità colpisce i salariati e le classi medie e basse, con la riduzione delle remunerazioni, delle prestazioni sociali, e l'aumento dell'età legale di pensionamento (che significa concretamente una riduzione del montante). Per completare il tutto e preparare la mitica ripresa, si smantellano sempre di più i servizi pubblici si privatizza a tutto spiano ciò che non lo è ancora stato, con una cancellazione massiccia di posti di lavoro (nell'istruzione, nella sanità, ecc) . Si assiste ad una strana competizione masochista all'austerità. Il paese A annuncia salari più bassi del 20% subito, il paese B annuncia che farà meglio con il 30%, mentre C per non essere da meno si affretta ad aggiungere ulteriori misure più severe. Il tutto sommato alla onnipresente pubblicità che spinge a continuare a consumare sempre di più senza avere i mezzi e a indebitarsi senza avere prospettive di rimborso del debito, si dovrebb in qualche modo espiare la pseudo-festa consumista continuando a nutrirla nella morosità.

Questa stupida politica di austerità non può che portare ad un ciclo deflazionistico che farà precipitare la crisi che lo stimolo puramente speculative non impedirà; e gli Stati ormai esangui non potranno più questa volta salvare le banche a colpi di migliaia di miliardi di dollari.

Questa politica non è solo immorale, ma è anche assurda. Avremo la bancarotta dell'euro se non dell'Europa e la catastrofe sociale.

Aspettando questa eventualità, se gli oppositori della crescita fossero stati chiamati a gestire gli affari della Grecia, per esempio, quale sarebbe la loro politica?
Il ripudio puro e semplice del debito, cioè la bancarotta dello Stato sarebbe la cura da cavallo che risolverebbe il problema eliminandolo. Tuttavia, questa soluzione radicale, chenon è da escludere e troverebbe il favore dei “decrescenti”, rischierebbe di precipitare il paese nel caos.

Il problema, infatti, è che in pratica, la crisi del debito degli Stati non è che un pezzetto del problema. La risposta teorica al solo problema del debito degli Stati che, anche per i più indebitati, è di circa l'ammontare del PIL, è molto più facile che quella riguardante la soluzione del problema dell'inflazione globale dei crediti derivanti dalla speculazione finanziaria2. La minaccia del rischio sistemico è tutt'altro che scartata.
Per quanto riguarda il debito pubblico, la sua cancellazione rischierebbe di colpire le banche e gli speculatori, ma anche direttamente o indirettamente i piccoli investitori che hanno dato fiducia al loro stato o che a loro insaputa si sono visti rifilare dalla propria banca e involontariamente investimenti complessi che includono titoli sospetti. Una riconversione negoziata (che equivale a un fallimento parziale), come è stato fatto in Argentina dopo il crollo del peso, o dopo una verifica, come proposto da Eric Toussaint e da una coalizione di ONG per determinare la quantità abusiva del debito, è probabilmente preferibile. Si potrebbe anche provvedere al mantenimento delle garanzie per i piccoli azionisti e a un deprezzamento dal 40 al 60% per gli altri o di ricorrere a un taglio fiscale3. Per cancellare il debito residuo, si potrebbe proporre un aumento delle entrate fiscali con un prelievo eccezionale sui profitti finanziari, così come si è fatto in Ungheria, non sarebbe mal vista e l'introduzione della tassazione progressiva con, in primo luogo, nel caso francese con l'abbandono reale dello scudo fiscale e delle scandalose nicchie di rendita.
In una società della crescita senza crescita, che corrisponde grosso modo alla situazione attuale, lo Stato è condannato ad imporre ai cittadini l'inferno austerità, prima di tutto con la distruzione dei servizi pubblici e la privatizzazione di ciò che è ancora possibile vendere dei gioielli di famiglia. In tal modo si corre il rischio di creare una deflazione e di entrare nel ciclo infernale di una spirale depressiva. E 'proprio per evitare questo che si dovrebbe intraprendere l'uscita dalla società della crescita e costruire una società in descrescita.
II né rilancio: Uscire dalla religione della crescita.

Di fronte a questa minaccia molto presente, delle anime belle, come Joseph Stiglitz, raccomandano le vecchie ricette keynesiane di rilancio dei consumi e degli investimenti per far ripartire la crescita.
Questa terapia non è auspicabile. Non è auspicabile, perché il pianeta non la può più sopportare, forse non possibile, perché, a causa del depauperamento delle risorse naturali (in senso lato), già in atto dagli anni 70', i costi della crescita (quando si è verificata) sono superiori ai suoi benefici. I guadagni di produttività attesi sono pari a zero o quasi zero. Dovrebbero essere ulteriormente privatizzate e mercificate le ultime riserve di vita sociale e far crescere il valore di una massa invariata o in diminuzione di valori d'uso, per estendere di pochi anni l'illusione della crescita.
Tuttavia, il programma socialdemocratico, che è la ragione sociale dei partiti di opposizione non è credibile, anche perché questi partiti non sono in grado di rimettere in discussione la catena di ferro del quadro neo-liberale che 'essi stessi hanno contribuito a costruire negli ultimi 30 anni che implica una sottomissione senza eccezioni al dogma monetarista. L'esempio della Grecia è da questo punto di vista sufficientemente eloquente.
Si tratta di uscire dall'imperativo della crescita, cioè, di rifiutare la ricerca ossessiva della crescita. Quest'ultima non è ovviamente (e non dovrebbe essere) un fine in sé; essa non è più un modo per eliminare la disoccupazione4. Si deve tentare di costruire una società dell'abbondanza frugale, o per dirla come Tim Jackson di prosperità senza crescita.
In effetti, l'obiettivo primario della transizione dovrebbe essere la ricerca della piena occupazione per porre rimedio alla miseria di una parte della popolazione. Questo potrebbe essere fatto attraverso una rilocalizzazione sistematica delle attività utili, un attività di riconversione graduale delle attività parassitarie come la pubblicità o nocive come il nucleare e la produzione di armi, e una riduzione programmata e significativa del tempo di lavoro. Per il resto, è il ricorso alla stampa di cartamoneta, e quindi ad una inflazione controllata (diciamo più o meno del 5% l'anno) che noi raccomandiamo. La soluzione keynesiana equivale alla scelta di una moneta fondente che stimola l'attività economica, senza tornare alla logica della crescita illimitata, favorendo la soluzione dei problemi causati dall'abbandono della religione della crescita.
Naturalmente, questo bel programma è più facile a dirsi che a farsi. Nel caso della Grecia richiede come minimo di uscire dell'euro e ripristinare la Dracma, probabilmente non convertibile, con tutto ciò che questo comporta: controllo dei cambi e ricostituzione delle dogane. Il necessario protezionismo selettivo richiesto da questa strategia farebbe inorridire gli esperti di Bruxelles e del WTO. Ci si dovrebbe dunque attendere misure di ritorsione e tentativi esterni di destabilizzare coordinati con gli atti di sabotaggio da parte degli interessi lesi all'interno. Questo programma sembra molto utopico oggi, ma quando si arriverà al fondo del marasma e della crisi reale che abbiamo di fronte, sembrerà auspicabile e realistico.
Conclusione:

Nell'antica tragedia greca, la catastrofe è l'argomento della strofa finale. E noi siamo a questo punto. Un popolo vota in massa per il Partito Socialista il cui programma è stato classicamente socialdemocratico e, sotto la pressione dei mercati finanziari, si vede imposta una politica di austerità neo-liberale da quello stesso partito, in obbedienza agli ordini congiunti di Bruxelles e del Fondo Monetario Internazionale. L'Euro impedisce alla Grecia di fare cio che l'Islanda ha potuto fare: rifiutare democraticamente il diktat. E 'chiaro che probabilmente la maggioranza del popolo greco non accetterebbe, e in ogni caso non facilmente, le conseguenze delle cesure necessarie per una diversa politica (uscita dall'Euro, ripudio almeno parziale del debito pubblico, probabile messa al bando da parte dell'Europa ed embargo dei paesi danneggiati, fughe di capitali, ecc). Ma le "lacrime e sangue", prendendo le famose parole di Churchill, ci sono già, ma senza la speranza di vittoria. Il progetto della decrescita non promette di evitare il sangue e le lacrime nell'economia, ma almeno apre la porta della speranza. L'unico modo per sfuggire a questo stato di cose, ce lo auguriamo vivamente, sarebbe quello di riuscire a far uscire l'Europa dalla dittatura dei mercati e costruire l'Europa della solidarietà e della convivialità, questo cemento del legame sociale che Aristotele chiamava filia.
 
* Rilance, è un neologismo coniato, come spiegato nel testo, dal ministro francese dell'economia come contrazione delle parole francesi rigeur (rigore) e relance (rilancio). Uno dei tanti ossimori come le convergenze parallele e lo sviluppo sostenibile.


1. Secondo la Banca mondiale, il risultato del protezionismo agricolo del Nord determinerebbe un mancato guadagno di 50 miliardi di dollari all'anno per i paesi esportatori del Sud del mondo. Il deputato verde tedesco, Sven Giegold, ne ha dato un altro esempio con la politica fiscale tedesca di rinforzo alle esportazioni.


2. Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea, infatti, nel febbraio 2008 la creazione di prodotti derivati raggiungeva il valore di 600.000 miliardi di dollari cioè da 11 a 15 volte il prodotto mondiale! Sotto questo aspetto, a parte il collasso, neppure la descrescita garantisce la cura miracolosa per un atterraggio morbido ...



3. Questo è quanto propone Thomas Piket in un articolo del quotidiano Libération del 28 giugno. Si tratta di far pagare aelle banche una parte dei rimborsi del debito.


4. Secondo i calcoli da Albert Jacquard (J'accuse l'économie triomphante, Calmann Lévy 1995 / Pocket 2004, p. 63), si stima che la crescita del PIL francese del 4% all'anno, si tradurrebbe in una diminuzione del tasso di disoccupazione del 2%. A questo ritmo, in cinquanta anni, il PIL si moltiplicherebbe per 7 (+ 600%) ma il numero dei disoccupati sarebbe ridotto solo del 64%. Dal momento che la disoccupazione in tutte le categorie, conivolgeva cinque milioni di persone nel 2010, saremmo ancora lontani dalla piena occupazione nel 2060, poiché resterebbero un po 'meno di 2 milioni di disoccupati.
*Rilance, è un neologismo coniato, come spiegato nel testo, dal ministro francese dell'economia come contrazione delle parole rigeur (rigore) e relance (rilancio).

domenica 3 luglio 2011

Il ciclo infernale.

Volevo parlare di un libro che ha già ricevuto attenzione sul blog di Ugo Bardi Cassandra's Legacy. Il libro è quello scritto da Philippe Bihouix e Benoit de Guillebon e intitolato "QUEL FUTUR POUR LE METAUX?" (Quale futuro per i metalli?) con un sottotitolo che esplicita ulteriormente l'argomento del testo: la rarefazione dei metalli: una nuova sfida per la società.

Il testo, piuttosto tecnico, ma non pesantissimo per chi ha un minimo di cultura scientifica e sa leggere dei grafici, spiega nel capitolo introduttivo le basi per una comprensione sistemica dello sfruttamento minerario, con particolare attenzione, ovviamente, alla questione dei metalli.

La questione dei metalli non si risolve nel dire che essi sono risorse non rinnovabili per eccellenza e quindi estratte da una riserva fissa, o che si ricostituisce in tempi di centinaia di milioni di anni, il problema è il consumo crescente, la natura dispersiva di molti usi (come ad esempio l'uso dei composti di rame in agricoltura e del cromo e dello zinco come mezzi anticorrosione), i limiti del riciclo che per quanto efficace non può mai essere del 100% e l'espansione dello sfruttamento di metalli rari e rarissimi con le nuove tecnologie. L'insieme di questi fattori pone un limite alla possibilità di espansione delle applicazioni tecnologiche e industriali dei metalli.

Come per tutte le risorse minerarie con i metalli si è passati, nel corso della storia, dallo sfruttamento dei giacimenti a più alta concentrazione a quello di giacimenti con contenuto minore. Così
si stima, ad esempio, che, per quanto riguarda il rame (metallo essenziale in molte applicazioni elettroniche ed elettrotecniche) si sia passati dallo sfruttamento di giacimenti al 1,8% in rame (55 tonnellate di minerale per 1 tonnellata di metallo) all'attuale 0,8% (125 tonnellate di minerale per una tonnellata di metallo).

E' importante capire che lo sfruttamento di giacimenti a basso tenore comporta anche un consumo energetico più elevato, perché ovviamente, riprendendo l'esempio precedente del rame, ci vuole molta più energia per trattare 125 tonnellate di roccia che per trattarne 55.

E' dunque chiaro  che c'è un forte legame fra la questione energetica e quella dei metalli. Il consumo di energia aumenta infatti in modo inversamente proporzionale alla concentrazione. A causa di questa legge si viene ad istitutire un circolo vizioso, il ciclo infernale del titolo di questo post, secondo cui:

Le materie prime sempre meno concentrate, richiedono sempre più energia e
l'energia sempre meno disponibile richiede sempre più materie prime per la sua produzione.

 Questa immagine mette a confronto il pozzo petrolifero a Spindletop nel 1901 all'inizio della storia estrattiva del petrolio USA e una piattaforma del tipo Deepwater Horizon. Il secolo di sviluppo tecnologico è chiaramente apprezzabile. Non conosco il costo dell'impalcatura di legno che costituiva lo Spindletop, quello che so è che oggi una piattaforma come la Deepwater Horizon viene affittata al costo di 450.000 dollari al giorno. La tecnologia ha evidentemente un costo economico oltre che, come abbiamo visto, ecologico.  Inoltre è ovvio che l'evoluzione della tecnologia estrattiva implica una moltiplicazione del consumo di materie prime. Ed è questa la riflessione a cui ci spinge il libro di Bihouix e de Guillebon.
Per interrompere il circolo infernale c'è una sola risposta non traumatica: l'inizio di un processo di rientro governato dei consumi e della domanda di materie prime ed energia (cioè anche della popolazione).

L'insistenza delle classi dirigenti per il rilancio della crescita è la via maestra verso il collasso.



venerdì 1 luglio 2011

Yemen.

Ancora notizie di paesi con gravi crisi ecologiche e sociali. Questa volta è lo Yemen che da anni è un luogo abbastanza turbolento, ma che sembra aver raggiunto una nuova frontiera nella crisi. Anche in questo caso il petrolio che ha superato il picco locale all'inizio di questo decennio, sembra giocare un ruolo importante, per quanto la produzione locale non fosse molto rilevante: il picco ha segnato una produzione massima di poco più di 400.000 barili al giorno. Il secondo fattore chiamato in causa sarebbe la crescente scarsità di acqua. Il paese è arido, ha pochi fiumi e per l'agricoltura si fa uso di acquiferi fossili. Quello che ancora sfugge alle analisi è che petrolio e acquiferi fossili sarebbero certamente esauriti in quanto risorse non-rinnovabili, ma quello che ha determinato la rapidità dell'esaurimento è il fatto che sulla disponibilità di tali risorse, invece di far crescere il benessere, si è lasciata crescere la popolazione che si è moltiplicata per quattro in 60 anni.


Quando sento dire che l'uomo è diverso dagli altri animali concordo sempre. L'uomo è diverso: è l'unico a camminare su due gambe. Per il resto cade nelle stesse trappole di tutti gli altri. E a volte lo fa perfino con maggiore entusiasmo.