lunedì 25 ottobre 2010

Rifiuti. Se diventano una risorsa non riusciremo mai a ridurne la quantità.

Ottimo intervento del prof. Loris Rossi sulla questione dei rifiuti e di Terzigno. Il periodo che riporto sotto in corsivo è preso da un intervista al professore raccolta da Dino Marafioti per Radio Radicale. Chi volesse ascoltare l'intera intervista può andare sul sito della radio e cercare il notiziario del mattino di oggi 25 ottobre alle h8:46, l'intervista è al nono minuto della registrazione.





[... ] Oggi ci sono due monopoli: il monopolio delle discariche (che è controllato sempre dalla camorra) e il monopolio della lobby degli inceneritori i quali si sottraggono in una lotta forsennata i rifiuti perché, loro, più bruciano e più guadagnano [...] questi, che si contendono la spazzatura […] sono nemici però sono alleati contro la raccolta differenziata, questo è il punto che in Italia bisogna capire. 
Questi due monopoli sono nemici della raccolta differenziata al punto tale che quando si è finanziato l'inceneritore di Acerra, il presidente dell'ABI è intervenuto dicendo chiaramente: io vi finanzio cari monopolisti degli inceneritori, se voi però mi garantite che ci stà una quantità di spazzatura notevole, perché altrimenti noi dobbiamo fare una legge regionale per multare i comuni che non producono una quantità sufficiente di immondizia.

Chi si riempie la bocca con la retorica dell'ambientalismo pragmatico, o dell'ambientalismo del SI, contrapposto a quello del NO, chi ha sempre presentato gli inceneritori come LA SOLUZIONE al problema dei rifiuti potrebbe tentare di replicare, ma, per favore, lo faccia dopo aver riflettuto cinque minuti.

sabato 23 ottobre 2010

Invecchiamento. La bomba ad orologeria immaginaria.

Oggi ospito una recensione di Marisa Cohen del libro di Phil Mullan "THE IMAGINARY TIME BOMB. Why an ageing population is not a social problem" (LA BOMBA AD OROLOGERIA IMMAGINARIA. Perché l'invecchiamento della popolazione non è un problema sociale). Quando Marisa la pubblicò a sua volta sulla mail list di Rientrodolce, non l'avevo considerata molto, ma ora la trovo molto interessante.
Avendo immediatamente ordinato il libro immagino che fra qualche settimana vi sorbirete anche il mio commento. Buona lettura.



"THE IMAGINARY TIME BOMB. Why an ageing population is not a social problem" (J.B.Taurus Publishers)


Posso solo fare una breve introduzione al pensiero dell'autore, ma non posso certamente entrare negli intricati grovigli delle pagine dedicate a complicati studi, ricerche, statistiche e diagrammi, referenze di autori (l'indice è lunghissimo), World Bank eccetera.

L'interesse di Phil Mullan consiste principalmente nello sgonfiare il mito della terza età come fonte di tutti i mali economici della nostra civiltà e la conseguenti manipolazioni di economisti e governi per diminuire le spese del welfare.

Phil Mullan prende le mosse dal fatto che demografi e commentatori politici ed economici hanno ribaltato il problema della sovrappopolazione in una crecente preoccupazione per il numero degli anziani e del pericolo che questa crescita rappresenterebbe per le società avanzate. Secondo tali vedute, stiamo entrando in una "Global Aging Crisis", che sarà fatale per i programmi politici delle nostre società e il rinnovo dei loro contratti sociali; la combinazione dell'allungarsi della vita e del declino delle nascite ha dato luogo ad uno spostamento generazionale, che renderà impossibile il mantenimento di una popolazione sempre crescente  di vecchi ed aprirà una specie di guerra generazionale.

Tale preoccupazione va di pari passo con quella per il declino della natalità, che ci tiene ostaggio della competitiva fertilità di paesi in via di sviluppo.

Cosi il problema demografico rinforza il doppio standard, perchè da una parte l'Occidente deplora e cerca di fermare il tasso di natalità dei paesi in via di sviluppo e dall'altra lamenta la mancanza di fecondità delle proprie società che porta alla crisi generazionale.

Quindi l'autore ritiene che molta parte di tali preoccupazioni fanno parte dell'ossessione della società contemporanea per la ricorrente parola "crisi", che riflette la continua ansietà e insicurezza, legate ai cambiamenti sempre piu' veloci a cui siamo sottoposti.

Come molte volte il timore ci fa vedere le cose in una luce sbagliata e può anche contribuire a realizzare le nostre paure.

Mullan sostiene che tali preoccupazioni hanno poco a vedere con i numeri, ma sono proiezioni ideologiche, intrise di emotività. John Maynard Keynes, per esempio, alludeva al pericolo che un declino della popolazione avrebbe causato una crisi della domanda, quindi una recessione.

Le prospettive pessimistiche si concentrano in particolare sull'invecchiamento della società, che dovrebbe invece essere un segno di positivo sviluppo che ha permesso l'allungamento della vita attiva.

E' dagli anni Ottanta che il gli anziani diventano un problema, con la loro marginalizzazione dal mercato del lavoro e, conseguentemente, dalla società.

L'interesse dell'autore è piuttosto rivolto alle conseguenze economiche, oltre a quelle sociali, come risposta al panico degli economisti e dei governi.

Confronta la spesa per mantenere un anziano e quella per mantenere un figlio. Un aumento nella proporzione degli anziani puo' abbassare i bisogni di investimento di una nazione e aumentare lo standard di vita, perchè le minori reclute nel mercato del lavoro richiedono minore investimento di capitale. Critica il concetto del rapporto di dipendenza degli anziani, a cui oppone l'elevato costo dei figli, che consumano molte più risorse pubbliche molto prima di poter pagare le tasse.

Il problema non è tanto che non ci siano abbastanza persone a sostenere gli anziani, ma piuttosto che gli anziani che vogliano ancora essere parte attiva del mercato del lavoro trovino le porte chiuse. Questo è frutto di un trend moderno, che sostiene i giovani e crea il problema di un accorciamento della vita lavorativa che inibisce l'apporto degli anziani, la nuova classe discriminata, alla società. L'età pensionabile riflette uno stigma sociale, ma è stato sempre un espediente per permettere ai giovani di entrare nel mercato del lavoro, una creazione del Welfare State.

L'autore ipotizza una ristrutturazione dell'economia che rifletta le nuove condizioni. Non si può continuare a ragionare con gli stessi principi del passato. Bisogna riconoscere che la realtà è cambiata: un sessantenne nel 2000 non é lo stesso che un sessantemme nel 1830.

-L'accesso a nuove tecnologier puo' incrementare l'output dei lavoratori inclusi, quelli piu' anziani, e renderli piu' produttivi.

-Nelle società industriali il livello tecnologico produce sufficiente ricchezza anche con un livello di crescita piu' basso.

-Inoltre, lo stesso miglioramento delle condizioni di vita influirà sulla salute e le capacità di lavorare delle future generazioni di anziani.

-Con l'aumento del numero degli anziani, questi avranno una più grande influenza sullo stato sociale ed economico dell'intera società.

-L'esistenza stessa della terza età è il risultato del progresso, la funzione del successo umano di migliorare la salute.

Infine, secondo Mullan il mito della vecchiaia è stato manipolato per giustificare il taglio delle pensioni pubbliche, perchè l'umore generale è che gli anziani consumano una considerabile parte della ricchezza comune.

Un nuovo morbo è stato individuato: al posto della paura di morire troppo presto, si è sostituita la paura di vivere tropo a lungo.A questa paura si aggiunge la constatazione che non si puo' piu' contare sulla famiglia, che ha pure cambiato struttura.

Il pessimismo che circonda tali argomenti ha spesso come conseguenza di abbassare le aspettative della gente su quale tipo di società e di mondo possiamo attenderci nel futuro, per noi e i nostri discendenti.

Il che equivale a non cercare mezzi per progredire, ma restare passivi.

Questo è un riassuntino, ma l'autore porta molti esempi convincenti.

Maria Luisa Cohen

venerdì 22 ottobre 2010

L'invecchiamento.

La scorsa settimana ho partecipato, come delegato di Radicali Italiani, al congresso dell'ELDR a Helsinki.
Il tema centrale del congresso era: la sfida rappresentata dall'invecchiamento delle società. Sembra che la parola "sfida" sia un eufemismo per definire (ottimisticamente) la situazione quando qualcosa ci sfugge di mano; l'ho sentita usare spesso anche in relazione alle questioni energetiche.


Thomas Cole. The voyage of life: old age. 1842

Il fatto è che se c'è una cosa che ci è sfuggita di mano è la nostra prolificità. Tutto il resto segue secondo una logica abbastanza stringente. Ma prenderne atto è apparentemente abbastanza difficile.

I liberali europei si pongono il problema di come governare questa transizione. E' già qualcosa. Ma come virtualmente tutti i politici affrontano il problema con dei principi che sono altrettanti intralci: 1) la quasi totale settorialità del tema (cioè la demografia non è parte dell'ecologia, di ambiente si parla dove si parla di ambiente!) 2) il nostro fine è promuovere, sostenere, incrementare la crescita economica, cioè mantenere il paradigma vigente. Fortunatamente i liberali europei non propongono, come lo IOR, la dicotomia fra maggiori consumi e maggiore natalità, ma finiscono per limitare tutta la questione demografica ai due sottotemi: pensioni e immigrazione. Poi non volendo prendere il toro per le corna partoriscono un topolino di risoluzione finale che non affronta il nocciolo del problema.

Il fatto che l'Europa invecchi è un contributo al declino di una popolazione umana in evidente condizione di overshoot ecologico. Governare l'invecchiamento delle società fa parte della "sfida" di governare la decrescita. In pratica: continuare a fare meno figli consumando meno risorse. Questo, che non è certamente Business as Usual, viene spesso visto come "crollo del capitalismo". Io sono poco incline a vedere in una necessità fisica (la riduzione del metabolismo sociale ed economico) la fine dell'imprevedibile. Sono altresì poco incline a credere nelle rappresentazioni teleologiche della Storia. Sono abbastanza convinto che, ancora una volta, la Storia ci sorprenderà e permetterà a schiere di storici di spiegarci, a posteriori, l'inevitabilità di quanto è accaduto.

martedì 12 ottobre 2010

Provo a rispondere al direttore dello IOR.

Recentemente il direttore dello IOR (Istituto per le Opere di Religione) Ettore Gotti Tedeschi ha fatto una serie di dichiarazioni sulla necessità di rilanciare la crescita demografica per sostenere la crescita.
L'ultimo intervento che conosco è stato pubblicato su la Repubblica Affari e Finanza con il titolo:
Fare più figli per aiutare la crescita. Vi consiglio di leggere questa lettera prima di continuare.

Dopo aver letto questa lettera torna a fagiolo questa vecchia vignetta:



Ho scritto una risposta che ho indirizzato al direttore del quotidiano La Repubblica. Non mi è riuscito di essere breve quindi ho poche probabilità di essere preso in considerazione.

Gentile Direttore,


leggo con interesse la lettera di Ettore Gotti Tedeschi intitolata "Fare più figli per aiutare la crescita" sul supplemento di Repubblica Affari e Finanza. Il ragionamento del direttore dello IOR ha l'apparenza della razionalità, in un mondo in cui la crescita economica è diventata un imperativo. Io sono un chimico-fisico e ragiono come tale. Sono anche responsabile politico di una piccola associazione che auspica la riduzione della popolazione su questo pianeta. Il nostro ragionamento è profondamente diverso da quello del sig Gotti Tedeschi. Noi siamo convinti che il metabolismo sociale ed economico stia rapidamente raggiungendo limiti fisici che non possono essere spinti oltre. Non c'è solo la questione climatica, ma in primis la questione del raggiungimento del Picco del Petrolio. Nessuno ancora lo dice apertamente, ma semplicemente verrà a mancare presto l'energia necessaria per sostenere il livello di consumi proprio del mondo industrializzato e, a maggior ragione, per estendere tale livello ad altri miliardi di persone.

Nel giro di pochi anni sarà chiaro a tutti che le tecniche di politica economica sviluppate nella fase di espansione dell'economia mondiale non sono più adatte a governare la fase successiva e alle dottrine neoclassiche si dovranno sostituire tecniche basate su un'economia bio-fisica. Un tale cambio di paradigma include ovviamente anche un riequilibrio della popolazione a livelli più bassi di quelli attuali. L'alternativa non è fra considerare l'uomo una calamità o una creatura del signore. Questi sono quesiti che lasciamo volentieri ai teologi e agli studiosi di morale. Si tratta invece di riconoscere la condizione di superamento della capacità di carico del pianeta da parte della popolazione umana e "organizzare" un atterraggio per quanto possibile morbido. E' evidente che le classi dirigenti attuali non sono in questo momento attrezzate per rendersi conto di questa necessità e prenderne atto. Tutti "pregano" con il sig. Gotti Tedeschi per la crescita. Ma sono preghiere vane.

Il bistrattato Malthus ha fatto l'unico errore di formulare la sua teoria, rozza, ma sostanzialmente giusta almeno qualitativamente, proprio alla vigilia dell'era fossile nella quale l'uomo ha scoperto e sfruttato i giacimenti di energia solare immagazzinata nel carbone, nel petrolio e nel gas. Il crepuscolo di quest'era, segnalato dalla fine, nel 2003, del petrolio a buon mercato, segna anche la fine del tipo di crescita economica che abbiamo conosciuto dalla rivoluzione industriale ad oggi. Con essa finisce anche la crescita demografica. Accelerare con mirate e non coercitive politiche di controllo delle nascite questa naturale tendenza renderebbe la transizione meno brutale di quello che purtroppo ci possiamo attendere, data la generale adesione alle idee di Gotti Tedeschi. E' stupefacente notare che questo signore sembra lamentarsi di un maltusianesimo imperante che probabilmente è solo un frutto dei suoi incubi. Nella mia personale esperienza parlare di sovrappopolazione e controllo delle nascite resta un tabù e coloro che si impegnano su questo fronte sono ancora un ridotta minoranza con pochissime opportunità di comunicazione. Concludendo in poche parole riassumerei la mia posizione affermando che se la decrescita demografica è una necessità nei paesi poveri essa è una virtù da non perdere in quelli ricchi.

Cordiali saluti

Luca Pardi

domenica 10 ottobre 2010

Contraccezione contro calvizie.

Come potrei non diffondere questo bell'articolo di  Nicholas D. KRISTOF pubblicato sul New York Times
il 27 settembre scorso, che ho letto nella newsletter di Bill Ryerson del Population Media Center (e poi tradotto).


Controllo delle nascite contro calvizie.

 di  Nicholas D. KRISTOF.

Nel prossimo decennio, nuove sorprendenti tecnologie sorprendenti si diffonderanno per combattere la povertà globale. Sono i contraccettivi.


Si tratta di una rivoluzione high-tech che interesserà più persone ed in un modo più intimo di qualsiasi altro sviluppo tecnologico. La prossima generazione di prodotti di pianificazione familiare sarà più economico, più efficace e più facile da usare – tale che potrebbe far apparire i preservativi e i diaframmi di oggi quello che è uno smartphone rispetto ai cellulari tipo mattone di 20 anni fa.

I primi tentativi di contraccezione risalgono all'antico Egitto, dove le coppie amorose usavano preservativi di lino. Eppure, dopo tre millenni, anche se ora siamo in grado di intercettare un missile nello spazio, siamo spesso ancora superati in astuzia da spermatozoo errante.

In gran parte, questo avviene perché la ricerca sulla contraccezione è pietosamente sottofinanziata, se solo la pianificazione familiare fosse stata presa sul serio, come la calvizie! La ricerca sulla contraccezione non ha ricevuto le risorse che merita, così abbiamo macchine fotografiche digitali aggiornatissime in termini di stato dell'arte e metodi di pianificazione familiare vecchi di decenni.

La situazione è particolarmente grave nei paesi poveri, dove secondo i dati delle Nazioni Unite circa 215 milioni di donne non desiderano una gravidanza ma non si possono permettere i contraccettivi moderni. Un risultato è il continuo impoverimento e l'instabilità di questi paesi: è impossibile lottare contro la povertà in modo efficace quando i tassi di natalità sono alle stelle.

Eppure nuove impressionanti tecnologie contraccettive sono in fase di prova e dovrebbero affrontare questo problema. Questi nuovi prodotti dovrebbero arrivare sul mercato nei prossimi anni, negli Stati Uniti così come nel mondo in via di sviluppo.

Uno di questi metodi consiste in un anello vaginale che rilascia ormoni. C'è già un anello sul mercato, ma dura solo un mese. Il nuovo dura un anno ed è sviluppato dal Population Council, un'organizzazione internazionale senza scopo di lucro che fa ricerche sulla salute riproduttiva.

Questo nuovo anello ha superato gli studi di fase III su più di 2.200 donne negli Stati Uniti e all'estero, e, secondo Ruth Merkatz, che dirige lo sviluppo clinico dell'anello per il Population Council, è risultato molto efficace. Lo stesso Merkatz ha detto che per le donne è risultato facile inserire da se stesse l' anello, fatto che è cruciale nei paesi poveri dove ci sono pochi operatori sanitari. La signora Merkatz ha anche detto che nella fase di sperimentazione i partner sessuali delle donne erano spesso inconsapevoli della presenza dell'anello, e nei casi in cui erano consapevoli non ne erano disturbati.

Altrettanto importante per l'accessibilità, è il fatto che gli anelli sono suscettibili di essere a buon mercato. John Townsend, direttore del programma di salute riproduttiva presso il Population Council, ha stimato che alla fine il costo nei paesi in via di sviluppo, cadrebbe fra 5 e 10 dollari per un anno di contraccezione.

I ricercatori stanno anche iniziando a testare gli anelli con altri farmaci. Ad esempio, l'aggiunta di un microbicida agli anelli può aiutare a prevenire la diffusione dell'HIV e di altre infezioni sessualmente trasmesse. Inoltre, i ricercatori stanno verificando se l'aggiunta di un composto a lento rilascio di un anello vaginale possa ridurre il rischio di alcuni tumori. I ricercatori del Population Council stanno sperimentando un composto che si dice sembra proteggere dal cancro del tessuto mammario.


Un altro nuovo contraccettivo che potrebbe avere un impatto (Sino Implant II) di vasta portata è costituito da un paio di piccoli coni retinici che liberano ormoni, inseriti sotto la pelle (di solito nel braccio). Altri impianti sono ampiamente utilizzati, ma un grande vantaggio del sino-impianto è che può durare quattro o cinque anni e costa tre dollari per anno o meno.

Questo tipo di impianto è già sul mercato in Cina e in Indonesia – dove sono state distribuite 100.000 unità l'anno scorso - senza che finora si siano riscontrati problemi di sicurezza. L'unico inconveniente è che per inserire e rimuovere l'impianto è richiesto un operatore sanitario qualificato.

La mia impressione a questo punto è che le lettrici ribolliranno di rabbia e borbotteranno qualcosa del tipo: Dov'è il progresso se una donna deve ancora riempirsi di ormoni per evitare una gravidanza? Dov'è la ripartizione degli oneri con gli uomini?

Questo è un punto giusto, perché i farmaci sviluppati per gli uomini nel campo della salute riproduttiva sono meno finalizzati alla responsabilità e più simile al ... Viagra.

Eppure, sono felice di segnalare che vi sono alcune tecnologie nuove adatte per gli uomini. Una che viene dall' India è una forma di sterilizzazione reversibile. Si tratta di un liquido che introdotto nei dotti spermatici si indurisce formando un tappo. Per tornare indietro è sufficiente che un operatore sanitario inietti un solvente che scioglie il tappo. Il piano è di introdurre questo sistema su larga scala nei prossimi anni.

Nel frattempo, i ricercatori stanno sviluppando in Francia speciale biancheria intima maschile a sollevare i testicoli aderente al corpo ed elevare la loro temperatura, un modo di cuocere gli spermatozoi in modo che siano sterili. Un rapporto per la Bill and Melinda Gates Foundation, afferma che 2secondo studi clinici pluriennali questi sospensori garantiscono una lunga ed efficace durata d'azione contraccettiva senza alcun impatto sul testosterone.'

La pianificazione familiare è stato a lungo il nesso mancante – e sottofinanziato- nello sforzo per superare la povertà a livello mondiale. Mezzo secolo dopo la pillola, è il momento di farne una priorità e trattarla come un diritto umano fondamentale per uomini e donne di tutto il mondo.

sabato 9 ottobre 2010

Di cosa si stanno occupando nel Palazzo?

Traduco liberamente, nel seguito di questo post, il riassunto della relazione di Jeffrey Brown presentata al congresso ASPO-USA, che si sta svolgendo in questi giorni a Washington e pubblicato sul sito The Oil Drum.


I dati e le considerazioni che ne derivano, possono essere combinati con quelli che avevo pubblicato pochi giorni fa sulla dipendenza petrolifera del nostro paese e di tutta l'Europa per trarre la conclusione che non ci sarebbe tempo da perdere nel mettere in atto politiche di emergenza su tutto il territorio per affrontare in tempo una crisi che non farà prigionieri. Invece laggiù nel Palazzo di cosa si occupano in questi giorni? Ho perso il filo. Cosa c'è in ballo? La polemica sulla magistratura politicizzata? I dossieraggi incrociati fra papaveri di regime? E l'opposizione a cosa si oppone? Alle bestemmie del premier, vero? O alle sue barzellette di cattivo gusto? E gli italiani di cosa parlano?

Passiamo ai dati sulle esportazioni dei paesi esportatori.

Secondo un modello teorico di Jeffrey Brown quando un paese esportatore di petrolio supera il picco, supponendo un calo di produzione del 5% annuo susseguente al picco, combinato con una crescita del 2,5% in quello stesso paese, nei tre anni successivi al picco il paese produttore esporterebbe il 50% di tutto il petrolio che esporterà in tutto il seguito della sua storia petrolifera. Indonesia e RegnoUnito hanno superato il picco del petrolio in anni recenti come si può dedurre dai seguenti grafici.



(Le figure sono prese dal sito Energy Export Databrowser curato da  Jonathan Callahan)

Questi due paesi nel lasso di pochi anni dopo il picco, 9 per l'Indonesia e 6 per il Regno Unito, sono diventati importatori mentre il tasso di declino della produzione ha toccato negli ultimi anni il 25%.
 
Attualmente il consumo di petrolio in Arabia Saudita sta crescendo al ritmo del 6,9% annuo. A questo ritmo l'Arabia Saudita che è stata superata dalla Russia come primo esportatore globale, cesserà di esportare petrolio entro il 2030.

Se si osserva la situazione delle 5 nazioni leader nell'esportazione di petrolio, che collettivamente forniscono metà del petrolio importato nel mondo, il modello di Brown prevede che esse forniranno il 50% del loro rimanente volume di esportazioni in due anni. Oggi ci sono 33 paesi che producono più di 100.000 barili al giorno e per questi paesi la produzione è stata sostanzialmente piatta negli ultimi 5 anni, mentre il consumo è cresciuto dal 16 al 17,5% della produzione.

Il petrolio non convenzionale, sabbie bituminose e varie qualità di petrolio pesante, che è considerato un possibile importante contributo al mantenimento della produzione globale, è anche esso soggetto a questa legge. Se si considera Canada e Venezuela, i principali produttori di petrolio da sorgenti non convenzionali, la somma della loro produzione è in realtà in declino.

Come ci si poteva aspettare la preoccupazione principale è costituita dalla domanda di  Cina e India, che hanno aumentato le importazioni dall' 11.3% del totale nel 2005, al 17.1% nel 2009. Se questa dinamica continua nel 2015 esse assorbiranno il 25% delle esportazioni globali.

giovedì 7 ottobre 2010

Procreazione assistita. Mai con la Chiesa.

A qualcuno è sembrato strano che, nonostante sia un fiero sostenitore del bisogno di ridurre la popolazione umana (in modo non-violento) data l'evidente condizione di overshoot ecologico della nostra specie, non mi sia espresso in merito al caso del Nobel per la medicina 2010 di cui è stato insignito il fisiologo inglese Robert Edward per i risultati ottenuti nello sviluppo delle tecniche di fecondazione in vitro che hanno permesso la nascita di 4 milioni di bambini da coppie altrimenti sterili. E che inoltre non abbia apprezzato la presa di posizione della Chiesa Cattolica sull'evento.

La Chiesa Cattolica ha infatti decretato "non opportuna" la scelta della Reale Accademia delle Scienze Svedese. Le ragioni del fondamentalismo cattolico, con le sue propaggini di atei devoti si riducono tutte nella sacralizzazione dell'embrione, che è poi il passaggio obbligato per vietare l'aborto e mettere sotto controllo il corpo delle persone: infatti se una donna non è libera di abortire il suo corpo è vincolato al volere di altri.

Detto questo è chiaro che la scelta del comitato per il Nobel non mi trova particolarmente entusiasta. La retorica versata a fiumi sui 4 milioni di bambini rischia di nascondere il fatto che ciò di cui abbiamo maggiormente bisogno su questo pianeta non è permettere a delle persone malate (la sterilità è una malattia) di "produrre" comunque una progenie, ma permettere a tutte le donne che lo desiderano (e sono centinaia di milioni nel mondo) di evitare gravidanze indesiderate, mantenendo una vita sessuale attiva. E ancora di più abbiamo bisogno di convincere coloro che hanno accesso ai metodi anticoncezionali moderni a farne uso in modo da ridurre rapidamente il tasso di natalità.

Ma se critico la scelta del Nobel non mi alleo certamente con la Chiesa Cattolica che nelle Filippine si oppone alla distribuzione gratuita degli anticoncezionali. La scelta del Nobel a Edward da un segnale culturale sbagliato. Ma l'attacco dei preti è il solito tentativo di mettere sotto controllo le persone, la loro sessualità, il piacere. La Chiesa, o meglio le istituzioni religiose di ogni credo (specialmente monoteista), hanno la necessità di avere il controllo sul piacere (sesso) e sul dolore (malattia e morte: si veda il caso dell'eutanasia), cioè sulle nostre vite.




Se qualcuno pensa che si possa, in nome dei superiori obbiettivi di sostenibilità ecologica, venire a patti con i dogmi e l'oscurantismo delle gerarchie cattoliche, si sbaglia di grosso. Infatti di cosa si lamentano i fondamentalist cattolici? Non del fatto in se che siano nati 4 milioni di bambini, ma che per far nascere quei 4 milioni se ne siano "uccisi" chissà quanti altri nella selezione degli embrioni. E che la fecondazione in vitro sia poi il punto di partenza della ricerca sulle cellule staminali embrionali.

P.S. Quattro milioni di bambini sono circa l'1 per mille della crescita demografica nel periodo in cui si sono applicate le tecniche di Edward. Un contributo tutto sommato trascurabile. Il segnale è comunque sbagliato, ma il contributo all'overshoot è abbastanza irrilevante, anche se, a ridurre la forza di questa affermazione, si deve dire che sono 4 milioni di bambini nati nel primo mondo e quindi con una elevata impronta ecologica fin dalla nascita.

mercoledì 6 ottobre 2010

Non perdere tempo a leggere i giornali.

Non perdere tempo a leggere i giornali, e tantomeno a seguire la TV. Questo è il consiglio di Nassim Taleb nel suo "il Cigno Nero". Un consiglio che seguo ormai da diversi mesi. Non alla lettera, mi concedo un paio di telegiornali e un paio di letture di quotidiani ogni settimana e mi accorgo di sapere praticamente tutto quello che tutti sanno, e che non serve a nulla.



Seguo invece con attenzione alcuni siti internet, in particolare The Oil Drum, che quasi ogni giorno ha un'analisi della condizione di overshoot ecologico della nostra specie. Cioè di quello che sui media chiamano "crisi".

Tempo fa qualcuno mi chiese se nel mondo anglosassone il livello di informazione e dibattito di TOD si trasferiva anche sui media. La mia risposta fu: no! Nonostante il tormentone sul valore e la qualità dell'informazione fuori dall'Italia, avere accesso alla BBC o a CNN o all'International Herald Tribune o al New York Times, non aiuta ad avere una migliore qualità dell'informazione su ciò che conta. Anche se può servire per darsi un tono o far partire una conversazione con le turiste americane in treno.

Oggi, su TOD, è la volta di un articolo imperdibile di George Mobus. Purtroppo è in inglese. Per coloro che hanno difficoltà a leggere in inglese prometto una traduzione a breve.

domenica 3 ottobre 2010

Il petrolio dei PIIGS


Ecco il grafico della dipendenza petrolifera dei paesi europei. Sarà un caso se i più esposti sul piano finanziario sono anche i più dipendenti dal petrolio?