domenica 7 settembre 2014

Pensierino della domenica.

Sentire la rassegna stampa ogni mattina conferma la mia opinione secondo cui le classi dirigenti politiche, imprenditoriali, sindacali, accademiche, culturali, etniche e religiose non hanno ancora capito in quale genere di crisi siamo. 

Mi rendo conto anche che la mia opinione non è né modesta né, tantomeno, umile. "Proprio te hai capito?". E' un problema che mi pongo ogni giorno davanti allo specchio. Il fatto lo spiega molto bene il passaggio di un libro che ho letto recentemente: "Natura in bancarotta" scritto da Wijkman e Rocktroem. Il secondo autore è un accademico svedese che da decenni si occupa di sostenibilità e ha fondato lo Stockholm Resilience Center, una istituzione interdisciplinare e transdisciplinare in cui si elabora strategie e visioni per un mondo sostenibile. 

Bene, Rockstroem ad un certo punto parla della difficoltà di trovare sia naturalisti che umanisti che abbiano una visione sistemica. Questa è, testualmente, il passaggio:

Da direttore di due organizzazioni che si occupano di sostenibilità e resilienza 
afferma: "devo faticare per trovare e assumere scienziati che comprendano appieno
le dimensioni sociali del loro lavoro, o economisti, politologi, antropologi, filosofi che capiscano appieno le dinamiche complesse del sistema biochimico del nostro pianeta.
Siamo ad un passaggio cruciale della storia dell'umanità: è ora di ammettere che la scienza, in base alla quale vengono prese molte delle decisioni che cambieranno il corso dello sviluppo umano, non si basa su soluzioni sistemiche."

La nostra società ha selezionato in funzione del grado di specializzazione. Negli anni cinquanta in un testo ormai dimenticato di futurologia ecologica e socioeconomica: "il futuro è già cominciato", Robert Jungk (L'autore anche del più noto "Lo stato Atomico") diceva che c'era bisogno di generalisti più che di specialisti. Da allora ad oggi solo lo specialismo è stato premiato. Forse non è colpa di nessuno, il sistema funziona bene finché i flussi di energia e materia dalla natura alla società sono facili e abbondanti e la natura è in grado di accogliere e metabolizzare senza grosse perturbazioni i rifiuti delle nostre attività. 

In un simile ambiente l'innovazione e lo sviluppo tecnologico incrementano efficacemente l'efficienza del sistema e i problemi, quando ci sono (e spesso ci sono) passano inosservati o possono essere trascurati.

Quando invece, come sta succedendo in questo inizio secolo, il flusso di energia e materia diventa viscoso e i cascami si accumulano nell'ambiente; come accade con la CO2 in atmosfera, i nitrati e i fosfati nel suolo e nei bacini idrici, la plastica nei giri oceanici, gli inquinanti tossici di origine sintetica nei suoli e negli organismi ecc, cresce il bisogno di una visione sistemica che è invece totalmente assente. Al tempo stesso la rincorsa tecnologica diventa sempre più inefficace a causa del noto (ma in certe circostanze ingnorato) principio dei rendimenti marginali decrescenti. Man mano che il sistema diventa più complesso trovare vie di uscita tecnologiche diventa più difficile e costoso. Il principio ha riscontri in ecologia, economia e termodinamica, ma nessuno ha il coraggio di tirare le somme: la tecnologia può ancora vincere qualche battaglia, ma ha perso la guerra.

La tecnologia si applica a migliorare l'efficienza dei sistemi, ma se il sistema è sbagliato aumentarne l'efficienza è inutile.
 
C'è un aggravante che riguarda le classi dirigenti, coloro che per ragioni di capacità e/o fortuna hanno ottenuto risultati eccelenti nell'ambiente culturale iperspecialistico che si è solidificato nei secoli scorsi, vengono chiamati a risolvere problemi di cui sono tanto all'oscuro quanto l'uomo della strada, con l'aggravante di essere dotati di un'autostima debordante che li rende ciechi rispetto a qualsiasi limite culturale possano avere. Un affare serio.

4 commenti:

  1. Pienamente d'accordo sull'esigenza di un approccio 'sistemico' ai problemi (non solo) ambientali contemporanei ... tuttavia l'imponente mole delle attuali conoscenze a disposizione, molto opportuna ma che rende molto più difficile che in passato la comparsa di pensatori "a 360 gradi" come (al limite) Leonardo e persino ai singoli studiosi padroneggiare compiutamente e interamente la loro stessa disciplina, (per quel che può valere) mi rende abbastanza scettico sull'effettiva realizzabilità di tale auspicabile obiettivo... Come accennato in qualche passo del post stesso, una (parziale?) soluzione può forse essere trovata potenziando il lavoro d'equìpe e il dialogo interdisciplinare e transdisciplinare, ed anche l'impiego di sofisticati strumenti tecnologico-informatici in grado di fornire adeguati modelli di riferimento dei complessi fenomeni studiati (cfr. i famosi Rapporti del MIT sui 'limiti della crescita') ... con la consapevolezza che nessun modello è in grado di fotografare in maniera esaustiva ed univoca il proprio segmento di 'realta'!|

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  2. A volte è sorprendente il potere delle sincronicità!
    Proprio in questi giorni mi stavo interrogando su questi problemi e venivo proprio alle tue stesse conclusioni.
    Questa situazione mi ricorda, con un parallelo un po' avventato forse, la neolingua di Orwell...il dissenso era impossibile perchè la gente non aveva neanche le parole, cioè gli strumenti per esprimere un concetto che fosse in contrasto con l'ortodossia del partito: la scienza oggi è funzionale al sistema economico, quindi non ha il minimo interesse, di conseguenza non ha neanche un campo di studi in cui si possa riassumere una visione sistemica in cui unisce conoscenze scientifiche e dibattito filosofico sulle conoscenze stesse.
    La complessità alimenta altra complessità finchè c'è energia per sostenerla e francamente non sono molto ottimista sul destino della società.

    Un'ultima riflessione. Alla fin fine l'impero romano, potente, ricco e organizzato, è collassato a causa delle incursioni di popoli con organizzazioni sociali molto più semplici e barbare, appunto, quindi alla fin fine il punto è sempre quello: specializzazione a scapito della resilienza, o resilienza a scapito della specializzazione?
    Io un'idea ce l'ho.

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  3. Ed io pure: Resilienza, Resilienza, Resilienza !

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  4. INTERVISTA CON Douglas Tompkins, dove si parla di analisi sistemica.

    Domanda 1: Lei è un forte sostenitore dell’"Ecologia Profonda". Ci può spiegare cosa significa esattamente questo concetto e quanto progresso ha fatto nella nostra società da quando è stato coniato nel 1970 da Arne Naess?
    Risposta:
    L’epistemologia e la visione del mondo, ovviamente, influenzano in modo fondamentale il nostro modo di prendere decisioni e i nostri valori dipendono dal modo in cui siamo stati educati e acculturati nel vedere e nell’interpretare il mondo che ci circonda. Data la gravità della crisi eco-sociale in cui l'umanità è intrappolata, occorre, pertanto, in via prioritaria fare un’analisi sistemica dei “valori” su cui si basa il nostro modello di sviluppo sociale, economico, culturale ed educativo; solo in questo modo possiamo capire bene che cosa ci ha portato ad intraprendere un percorso tanto dannoso per il nostro ecosistema e che sta producendo effetti molto negativi come il “cambiamento climatico” e “la crisi di estinzione”, che io definisco “la madre di tutte le crisi”. In sintesi, Naess e altri ecologisti ipotizzano che la “condivisione del pianeta con le altre creature” è un assunto fondamentale per invertire le attuali tendenze degenerative. L’adozione di una tale visione non garantirebbe all’umanità la piena riconciliazione con la Natura, ma permetterebbe di fare un grande passo in questa direzione; viceversa, non adottarla potrebbe solo comportare un approfondimento dell’attuale crisi eco-sociale. Tale assunto non si propone di spiegare tutto ciò di cui un agire bio-centrico, o eco-centrico, avrebbero bisogno, ma rappresenta la spiegazione più diretta e succinta dell’Ecologia Profonda.
    http://www.lteconomy.it/it/2011-09-26-10-03-48/463-intervista-con-douglas-tompkins

    Gianni Tiziano

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