giovedì 18 dicembre 2014

Crescisti contro decrescisti: e se avessero ragione entrambi?

di Jacopo Simonetta.

Mentre l’uscita dalla crisi sfuma in un futuro sempre più leggendario, ribolle lo scontro ideologico e verbale fra coloro che perseguono un rapido ritorno alla “crescita” e coloro che, viceversa , predicano una qualche forma di  “decrescita”.
Due campi quanto mai vari, spesso con posizioni nettamente diversificate al loro interno.   Tuttavia vi sono alcuni punti condivisi dalla maggior parte di coloro che perseguono l’una o l’altra di queste strategie.
Ben inteso, lo scopo qui non è quello di tentare una critica a tali posizioni, bensì quello di far rilevare che alcune delle conclusioni sostenute nei campi avversi sono in realtà perfettamente compatibili fra loro.   Guarda caso le più sgradevoli da udire e pensare, ma anche quelle che meglio descrivono lo scenario più probabile nel prossimo futuro.   In ogni caso, la direzione verso cui le classi dirigenti di tutto il mondo stanno dirigendo il pianeta.

Schematizzando all'estremo,  alcune delle posizioni sostenute dai fautori della crescita  si possono così riassumere:

1 - La crescita economica è l’unica medicina efficace contro la crisi economica, l’esplosione del debito e la miseria.
2 - La decrescita comporta necessariamente una riduzione nella produzione di beni e servizi che ridurrebbe  il benessere,  generando una spirale deflattiva potenzialmente devastante.   Come la crescita è un sistema a retroazione positiva, lo è anche la decrescita; il rischio di uno sprofondamento esponenziale delle attività economiche è quindi molto concreto.
3 – L’attuale economia riesce a mantenere oltre 7 miliardi di persone, la maggioranza delle quali neanche troppo male ed un miliardo circa decisamente bene.   Un’economia globale in decrescita non potrebbe fare altrettanto.
4 - Un paese che optasse per decrescere si porrebbe alla mercé dei suoi vicini:   potere economico, politico e militare dipendono direttamente dalla crescita.
5 - La crescita economica indefinita o, perlomeno ancora per molto tempo, è possibile perché il progresso tecnologico aumenta costantemente l’efficienza con cui possiamo sfruttare le risorse.   Inoltre, l’aumento dell’efficienza produttiva ed il progresso consentono di ridurre gli impatti ambientali.   Anzi, solo una robusta crescita economica può rendere disponibili i finanziamenti necessari per gli interventi di tutela ambientale (riduzione delle emissioni clima-alteranti, bonifica di siti contaminati, parchi e riserve naturali, ecc.).
6 – L’economia globalizzata è l’unica che può fornire beni e servizi del tipo attualmente corrente e da molti ritenuti un diritto.   Ad esempio cure oncologiche, assistenza pensionistica, ricerca e sviluppo, prodotti tecnologici, internet, soccorsi internazionali in caso di calamità e molti altri.

Sull'altro lato della barricata, le posizioni sono ancor più variegate, ma vi è un largo consenso su alcuni punti:

A - La crescita economica è la causa della crescita demografica e dei consumi che hanno portato l’umanità oltre la capacità di carico del pianeta.
B - La decrescita è l’unica strategia possibile in un mondo sovrappopolato e sovra sfruttato.   Ogni ulteriore crescita economica e demografica sarebbe catastrofica, ma anche il mantenimento dei livelli attuali non è sostenibile.
C – Gli attuali livelli di produzione agricola ed industriale sono possibili solo grazie alla disponibilità di quantità pressoché illimitate di energia altamente concentrata e molto a buon mercato.   Una situazione storicamente anomala destinata a scomparire con il peggioramento qualitativo delle risorse sfruttate.
D - Un paese che optasse per la decrescita si troverebbe avvantaggiato rispetto agli altri in quanto pre-adattato all'inevitabile periodo di scarsezza prossimo venturo.   Anzi, probabilmente già iniziato.
E - Il progresso tecnologico è una concausa della nostra situazione.   Aumentando l’efficienza con cui le risorse vengono sfruttate, ne provoca un maggiore e non un minore depauperamento.
F - L’aumento sia della produzione di beni e servizi che dell’accumulo e conservazione di informazione comportano inevitabilmente una crescente dissipazione di energia e dunque di entropia.   In ultima analisi, la Terra non sta morendo per carenza di risorse, ma per eccesso di entropia (Global Warming, Mass extinction, epidemic riots, ecc. ne sono solo alcuni degli effetti).
G – L’economia globalizzata si disintegrerà man mano che si ridurrà il  flusso di energia che la ha generata, organizzare economie locali saldamente radicate sul territorio è l’unica risposta possibile.

Due posizioni razionali e coerenti, ma inconciliabili.   Così almeno pare, ma se entrambi avessero ragione al 50%?   Osservando bene, vedremo che alcune delle proposizioni sopra riportate sono reciprocamente incompatibili, ma altre no.   Facciamo dunque l’esperimento di sceglierne 3 per ogni elenco e metterle insieme:

A - La crescita economica è la causa della crescita demografica e dei consumi che hanno portato l’umanità oltre la capacità di carico del pianeta.
2 - La decrescita comporta necessariamente una riduzione nella produzione di beni e servizi che ridurrebbe  il benessere,  generando una spirale deflattiva potenzialmente devastante.   Come la crescita è un sistema a retroazione positiva, lo è anche la decrescita; il rischio di uno sprofondamento esponenziale delle attività economiche è quindi molto concreto.
C – Gli attuali livelli di produzione agricola ed industriale sono possibili solo grazie alla disponibilità di quantità pressoché illimitate di energia altamente concentrata e molto a buon mercato.   Una situazione storicamente anomala destinata a scomparire con il peggioramento qualitativo delle risorse sfruttate.
4 - Un paese che optasse per decrescere si porrebbe alla mercé dei suoi vicini:   potere economico, politico e militare dipendono direttamente dalla crescita.
F - L’aumento sia della produzione di beni e servizi che dell’accumulo e conservazione di informazione comportano inevitabilmente una crescente dissipazione di energia e dunque di entropia.   In ultima analisi, la Terra non sta morendo per carenza di risorse, ma per eccesso di entropia (Global Warming, Mass extinction, epidemic riots, ecc. ne sono solo alcuni degli effetti).
6 – L’economia globalizzata è l’unica che può fornire beni e servizi del tipo attualmente corrente e da molti ritenuti un diritto.   Ad esempio cure oncologiche, assistenza pensionistica, ricerca e sviluppo, prodotti tecnologici, internet, soccorsi internazionali in caso di calamità e molti altri.
G – L’economia globalizzata si disintegrerà man mano che si ridurrà il  flusso di energia che la ha generata, organizzare economie locali saldamente radicate sul territorio è l’unica risposta possibile.

OK, è solo un esercizio a tavolino, nulla di più.   Ma direi  che basti eliminare l’idea che ci debba necessariamente essere un modo per salvare la nostra pelle ed il nostro benessere perché il quadro diventi  molto più chiaro e coerente da entrambe le prospettive.

“Meditate gente, meditate”.


13 commenti:

  1. Premesso che stimo moltissimo l'autore di questo post per la sua intelligenza, cultura ed umanità, devo tuttavia ammettere che, in questo caso, mi trovo in netto disaccordo con la sua conclusione. Crescisti e decrescisti, non saranno perfetti, ma sono comunque meglio di una sterile accettazione del caos, della sofferenza e del collasso di un intero pianeta. L'umanità ed i singoli esseri umani sono decisori NON-onniscienti e NON-infallibili, quindi, per il principio di prudenza, sarebbe meglio comportarsi come se esistesse ancora una possibilità di salvare la Terra. Il rischio implicito in un'accettazione di una atroce ed ineluttabile fine della nostra civiltà (e forse dell'intera biosfera) è quella di ogni profezia auto-avverante. Credo sarebbe meglio domandarsi: è solo il culto della crescita infinita ad essere il vero ostacolo alla sopravvivenza collettiva? Se la crescita è necessaria al benessere, perchè lo è? A quali condizioni? Rispondere a queste domande con onestà intellettuale e coraggio conduce, io credo, ad un rifiuto motivato non solo del culto della crescita infinita, ma dell'intero paradigma economico in atto: uso del denaro, del debito, del diritto ereditario e degli scambi commerciali inclusi. Dopo il Socialismo Reale, non rischia di fallire solo il Capitalismo consumista, globale ed ultra-liberale, rischia di fallire l'intera civiltà umana e forse l'intera biosfera attuale. Credo che la rassegnazione non sia solo inaccettabile, ma anche tremendamente e pericolosamente diffusa. Credo che dopo la fine delle ideologie nessuno abbia più la voglia ed il coraggio di osare qualcosa di radicalmente NUOVO. E, personalmente, vedo proprio in questa rassegnazione ed inattività (che ognuno motiva, giustifica ed abbellisce a modo suo) il vero problema attuale. Dico questo senza spirito critico né voglia di "strafare", ma con genuina e profondissima angoscia.

    Un saluto a tutti

    Alessandro

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    1. Un bel discorso condivisibile ma adesso vogliamo le proposte (o almeno qualche modesta proposta). Come invertire la tendenza (se la tendenza universale - la crescita -) non è gradita o è ritenuta persino letale. Dalla "profondissima angoscia" si esce con qualche idea o progetto (anche modesti, non vogliamo "strafare", non siamo onniscienti).

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    2. Alessandro, hai ragione, ma come tu non vedi emergere "qualcosa di radicalmente NUOVO" (e realistico), non lo vedo neanche io. Né, purtroppo, sono in grado di concepirlo io.
      Probabilmente una risposta possibile è darsi degli obbiettivi limitati e possibili; e concentrarsi su quelli.

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    3. @ Sergio

      La mia proposta voleva essere implicita nel concetto della necessità di un "rifiuto motivato non solo del culto della crescita infinita, ma dell'intero paradigma economico in atto". L'unica via d'uscita per me è una rivoluzione pacifica, ossia un cambio di paradigma economico che per radicalità e profondità non può che essere soprattutto una rivoluzione culturale e politica: l'abbandono completo delle transazioni economiche basate sullo scambio commerciale, sul denaro e sull'uso del debito. In pratica sarebbe un ritorno all'economia del dono, ma in chiave ultra-moderna. Si tratta di applicare quello che la scienza ha dimostrato non solo riguardo alle risorse del pianeta (limitate) ma anche e soprattutto riguardo la psicologia e la sociologia umana (in particolare le proprietà disincentivanti del denaro in abiti lavorativi ad elevata creatività e/o intensità intellettiva).

      Parlo di Rivoluzione, non con leggerezza e senza nessun accostamento romantico, ma provare ad effettuare piccoli aggiustamenti qui e lì dove l'attuale sistema lo consente è equivalente a tentare di fermare un'auto lanciata ai cento all'ora in 100 metri senza frenare.

      O freniamo o siamo spacciati.

      La cosa è praticamente fisica, il fatto che bramiamo dalla voglia di frenare oppure ci disgusti il solo pensiero è irrilevante. Quel che conta è se freneremo oppure no.

      Purtroppo parlare di Rivoluzione comporta infiniti fraintendimenti e trabocchetti, ma l'alternativa per la nostra civiltà è solo una: una rapida e rovinosa caduta senza possibilità di riscossa. Psicologia a parte la scielta sarebbe quindi facilissima da prendere su un piano del tutto razionale... ovvero su quel piano in cui raramente le persone si ergono per effettuare le proprie scelte. Siamo quel che siamo.

      Tuttavia è bene sempre ricordare che l'irrazionale può anche essere sfruttato per motivare non solo per... errare. Ma qui la scelta diviene drammaticamente politica e personale. Sarebbe bello però che qualcuno lanciasse per lo meno il messaggio, poi i 7,2 miliardi di persone decidano come meglio credono.

      @Jacopo

      Caro Jacopo, non credo che quanto da me esposto si possa definire "realistico", ma di certo andrebbe tentato. Se non fosse così oggi non avremmo né la scienza, né gli aerei, né infinite altre cose che oggi e solo oggi diamo per scontate, ma che per millenni non lo sono stati affatto.

      Il concetto di "tentare" implica un rischio. Un po' come vivere.

      Un saluto a tutti

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    4. Ops! Mi accorgo solo ora di aver scritto "scielta" anziché "scelta". Inerpicarsi in discussioni intricate alle 2 di notte evidentemente non giova, ma poiché è l'unico momento della giornata che mi rimane "per dirvi la mia", non mi rimane altro da fare che chiedervi scusa per quello strafalcione e gli altri eventuali (e probabili) "attentati" che posso aver perpetrato contro la nostra povera ed innocente lingua italiana.

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  2. Post interessante & originale, anche se la conclusione lascia l'amaro in bocca!
    Comunque, temo che nemmeno tutti i 'decrescitisti' siano d'accordo sul ruolo deleterio svolto dall'attuale galoppante crescita demografica umana, anzi molti di loro mi sembrano emettere al rig.do un tanto assordante quanto drammaticamente eloquente silenzio...
    D'altronde ancora pochi gg. fa su 'Avvenire' si ripeteva il classico mantra che l'attuale produzione globale di alimenti risulterebbe più che sufficiente per ben DODICI mld. di esseri umani se solo vigesse un'equa distribuzione delle risorse disponibili (obiettivo lodevole, ma sostanzialmente del tutto utopistico), mentre un recente "documentario" austriaco incredibilmente afferma(va) che tutti gli attuali abitanti umani del pianeta potrebbero essere contenuti nel solo territorio di quel Paese (in quali condizioni economico-sociali, igienico-sanitarie e psicologiche, oltre che ecologiche???)...

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    1. Credo che tu abbia colto il punto: La domanda giusta non è quanta gente potrebbe arrivare a sopravvivere sulla Terra o su di un dato territorio, bensì per quanto tempo? In quali condizioni? Con quali conseguenze?
      Evitare di contestualizzare dati ed analisi è un trucco frusto, ma sempre di moda.

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  3. Noi oggi siamo totalmente impregnati dal mito della crescita - diventato il pensiero dominante della nostra cultura e della nostra società da alcuni secoli - da dimenticare che si tratta comunque di una NOVITA' culturale, portata dalla rivoluzione scientifica
    Nei secoli (e nei millenni) passati il pensiero umano era votato o al mantenimento dell'equilibrio (da cui il culto enorme delle conoscenze passate), o addirittura alla nostalgia per un passato migliore (la c.d. età dell'oro, presente in moltissimi miti ancestrali).
    Ne consegue che tornare ad una società dell'equilibrio potrebbe non essere culturalmente impossibile, se non fosse che dovremmo forse rinunciare alla spinta propulsiva del pensiero scientifico.
    Un bel rebus...

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    1. "... se non fosse che dovremmo forse rinunciare alla spinta propulsiva del pensiero scientifico."

      Ma perché? Non credo proprio (del resto dici anche tu "forse"). Anche una società o umanità un po' più equilibrata non solo cercherà di conservare almeno parte degli agi e comodità di oggi, ma continuerà a cercare miglioramenti, sempre possibili. Non torneremo affatto all'età della pietra (salvo guerre atomiche o cataclismi sempre in agguato - la visita di un grosso meteorite, riscaldamento eccessivo ecc.). La scienza continuerà a fare scoperte mirabolanti. Don Verzé (sono costretto a citarlo!) disse persino: "Niente e nessuno può fermare la scienza, nemmeno la Chiesa." Non male per un un uomo di Chiesa (naturalmente sui generis!).

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    2. Caro Sergio, il tuo augurio è ovviamente anche il mio, ma ho la sensazione che il "pensiero scientifico" e uno "stato sociale stazionario" siano concetti in contraddizione tra loro.
      La scienza ci ha abituati a pensare che il futuro sarà migliore del passato, e che quindi possiamo legittimamente aspettarci una crescita continua (di benessere, ma non solo).
      Ed una volta accettato il principio di una società in crescita, diventa poi difficile, per non dire impossibile, fare dei distinguo su cosa può continuare a crescere (p.e. la scienza e la tecnologia) e cosa no (p.e. la popolazione ed il consumo di risorse).

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    3. Veramente sono più di due secoli che alcuni scienziati ci avvertono che la crescita ad oltranza è un suicidio e da 40 anni a questa parte sono diventati la netta maggioranza. Nel campo delle scienze naturali, praticamente la totalità. Personalmente non vedo nessuna incompatibilità fra scienza e decrescita. Naturalmente la decrescita comporta un cambio completo di contesto e quindi anche di metodi, finalità, mezzi a disposizione ecc.
      Secondo me, ci dobbiamo aspettare una perdita di informazione notevole, ma non una riduzione della curiosità che è il movente della ricerca scientifica.

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    4. << Personalmente non vedo nessuna incompatibilità fra scienza e decrescita. >>

      Caro Jacopo, su questo sono d'accordo con te.
      Quello che mi sembra più difficile è modificare quella specie di mentalità "scientifica" diffusa (ma forse sarebbe meglio definire "pseudo-scientifica") che ci porta a dare per scontate le "magnifiche sorti e progressive".
      D'altra parte, anche la probabile perdita massiva di informazione (altro punto su cui sono perfettamente d'accordo con te) è una cosa a cui siamo ben poco abituati e che potrebbe essere destabilizzante.

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