giovedì 8 aprile 2010

Terra 3.0


I limiti della crescita, i confini del pianeta.

Ho finito di leggere gli articoli del numero di Aprile di Le Scienze dedicato ai limiti del pianeta e alle idee per arrestare il processo di overshoot in corso.

Terra 3.0 vuole significare, in modo efficace, il terzo stadio della presenza umana sul pianeta.
Che non può essere la continuazione di Terra 2.0, l'era della crescita.

L'edizione italiana di Scientifica American ha deciso questo mese di divulgare il contenuto essenziale di un lavoro uscito settimane fa su Nature a proposito dei "confini" (borders) del pianeta.
Si tratta della stima quantitativa di quei cicli e processi naturali che sono stati rapidamente modificati dall'azione della nostra specie dalla rivoluzione industriale ad oggi, e la cui variazione non può superare certi valori pena l'innesco di transizioni incontrollabili e repentine.
Una quantificazione del principio di precauzione.

Per gli appassionati di clima c'è anche un'intervista a Casarini sui problemi all'IPCC e un articolo sui problemi e limiti dei modelli climatici.

Sulla questione petrolifera c'è un circostanziato intervento di risposta all'articolo di Leonardo Maugeri del mese scorso, pubblicato nella rubrica La polemica. Il pezzo che ha tratti di genialità nella valutazione
dell'EROI del petrolio, è opera di tre autori ben noti in ASPO-Italia: Claudio della Volpe, Antonio Zecca e Luca Chiari.

Si conferma che, sulla questione ambientale ed energetica, la linea editoriale di Le Scienze è cambiata rispetto al recente passato di trionfalismo tecnoscientifico per approdare ad un più moderato e preoccupato ottimismo (a parte gli editoriali del solito Bellone).

Si conferma anche che la questione demografica resta un tabù per tutti perfino per gli scienziati che si occupano di sostenibilità e resilienza. Solo un breve accenno nell'articolo di Bill McKibben.
Nulla di simile all'intervento fulminante di Jay Forrester alla vigilia di Copenaghen.

Fino a quando questo atteggiamento culturale e politico non cambierà ci sarà sempre posto per Rientrodolce (purtroppo). E speriamo che, se cambia, non cambi troppo tardi.

mercoledì 24 marzo 2010

Lettera ai candidati (di qualsiasi elezione democratica)

Caro candidato,

iniziata l'ultima settimana di campagna elettorale ognuno si chiede per chi sarebbe meglio votare, per motivi di interesse personale, generale, nazionale, umano …. e la confusione si fa preoccupante.

Personalmente avrei un criterio molto semplice: votare qualunque politico che mostri di comprendere una o più delle questioni elencate qui di seguito (o possibilmente l'intera sequenza):

1- La crisi economico – finanziaria in cui siamo piombati nel 2008 non è altro che l'effetto di un più generale manifestarsi dei limiti della crescita economica. Il fattore più evidente di questi limiti è stato il raggiungimento di un picco di produzione globale del petrolio convenzionale che ha determinato un aumento impetuoso del prezzo dell'energia nel periodo 2004-2008 (da 30 a 140 USD/barile) che il sistema del credito basato sulla continua estensione del debito non poteva reggere altro che in condizioni di crescita materiale infinita. Fine della crescita, fine del sistema finanziario contemporaneo.

2- Il globalismo economico, le istituzioni che lo governano e le infrastrutture fisiche che lo rendono possibile dipendono da un flusso continuo di energia a basso costo. Fine dell'energia a basso costo: fine del globalismo economico e delle sue strutture locali cioè dell'intero sistema da cui dipendiamo attualmente per ogni singola azione della nostra vita.

3- Raggiunti I limiti della crescita economica e superati molti dei confini ecologici del pianeta, si è raggiunto anche il limite della crescita demografica. L'unica opzione sensata è un progetto politico di rientro dell'economia e della popolazione. Tale progetto non può evitare nel prossimo futuro un periodo di instabilità e incertezza, ma è l'unica via di uscita praticabile per attenuare, se non evitare, il collasso del sistema.

4- Tale progetto non può che partire dal 'locale'. La produzione industriale, e in particolare la produzione di energia, deve essere diffusa sul territorio e restare nelle mani delle comunità locali. Il modello di produzione e distribuzione polare dell'energia è incompatibile con il progressivo assottigliamento della dispobibilità di risorse fossili e minerali ed è impensabile in assenza o in fase di assottigliamento della disponibilità di combustibili liquidi.

5- L'intero modello di trasporto di merci e persone è legato alla disponibilità di combustibile a buon mercato. Nessuna delle soluzioni proposte per la sostituzione dei combustibili liquidi con altri combustibili (biocombustibili, idrogeno, carbone liquefatto ecc …) è praticabile per un volume di traffico come quello attuale. Il sistema di trasporti attuale è condannato, tanto vale prenderne atto. Le case automobilistiche sono un dinosauro come le compagnie aeree. Quanto di questo potrà restare in piedi non è certo, ma quello che è certo è che si dovrà pensare ad un modo di rispondere alla crisi dell'auto e di tutto il sistema dei trasporti e del suo indotto.
Un modello di trasporto che garantisca una residua capacità di movimento di persone e merci deve essere basato principalmente sul trasporto pubblico perchè, piaccia o meno, la stagione del trasporto automobilistico di massa è al crepuscolo. Con una crescente elettrificazione della produzione di energia, la trazione elettrica potrà diventare un'alternativa praticabile per il trasporto individuale e non, ma non è pensabile, neppure in questo caso, di riproporre il modello “una automobile per ciascuno” per mancanza di risorse.

6- La produzione di cibo è attualmente legata a filo doppio alla disponibilità di combustibili liquidi e perciò di petrolio a buon mercato. L'intera filiera agroalimentare industriale globalizzata va incontro a difficoltà crescenti nella fase di assottigliamento della disponibilità di petrolio. Si deve assecondare e stimolare lo sviluppo di filiere alternative che siano ecologicamente e socialmente sostenibili. Anche in questo caso non si può prescindere da una rilocalizzazione della produzione.

La rilevanza delle questioni sopra elencate in una competizione elettorale democratica come quella attuale è altissima. Le elezioni in questione riguardano infatti in gran parte le regioni che, in Italia, appaiono come la divisione territoriale dimensionalmente più adatta per mettere in atto progetti di gestione e governo dell'emergenza. Un candidato serio dovrebbe promettere di opporsi, o in caso di vittoria di porre fine, ad ogni progetto che nasca da una visione conformistica di crescita economica: blocco dei progetti edilizi, blocco della costruzione di strade e capannoni e di ogni altra infrastruttura che porti a quel drammatico consumo del territorio che ha distrutto il suolo fertile delle nostre regioni, marginalizzato e frammentato gli habitat naturali e saturato, senza altra giustificazione che la crescita indifferenziata, gli ecosistemi con gli scarti del nostro metabolismo sociale ed economico. Riduzione a zero dei rifiuti, blocco della costruzione e dell'uso degli inceneritori. Ripensamento totale della politica energetica: abbandono dei e opposizione ai megaprogetti che implicano una produzione polare dell'energia (rigassificatori, centrali nucleari e termoelettriche) a favore di una produzione distribuita, adatta alle necessità delle comunità locali e basata sull'uso esclusivo delle fonti rinnovabili. Questo porterà quasi certamente ad una riduzione dell'offerta e quindi dei consumi, ma è l'unica via per affrontare realisticamente e da subito l'emergenza. Difesa dei suoli agricoli e ripristino della loro fertilità. L'agricoltura industriale petrolio dipendente è segnata, ci si deve attrezzare per produrre cibo in quantità sufficiente per la popolazione residente. E' abbastanza ovvio che un progetto di totale autonomia alimentare sia di lunga o lunghissima durata, a meno che non sia forzato e traumatico per cause esterne (fatto che non si può escludere), ma prima si comincia a metterlo in atto, meno traumatico sarà il passaggio. Per fare questo le valutazioni sull'uso del suolo devono essere fatte olisticamente con il rigoroso rispetto dei vincoli ecologici e non in ossequio alle (sole?) convenienze economiche. Ad esempio l'uso dei suoli fertili e dei prodotti agricoli per la produzione di biomassa e biocombustibili deve essere valutata in vista dell'uso del suolo come fonte primaria di cibo.

Si deve considerare non solo l'urgenza attuale, ma la sostenibilità di certe produzioni. In un ottica del genere diventa chiaro come il sole che ogni progetto di produzione di biocombustibili deve essere abbandonato, ma anche l'uso della biomassa, utilizzando, ad esempio, gli scarti delle produzioni alimentari, può non essere considerato sostenibile a causa del mancato ritorno al suolo agricolo di una parte sostanziale dei nutrienti necessari al ripristino della fertilità. In poche parole per la sostenibilità si deve adottare non le leggi della politica economica, ma quelle della politica ecologica che tiene conto della natura termodinamica del mondo fisico in cui viviamo, fatto di cui l'economia si è dimenticata sia nella pratica che nella teoria.

Per la sostenibilità si deve altresì smettere di elevare lamenti per la decrescita della natalità. La descrescita della natalità è un fatto positivo che non può che aiutarci ad affrontare gli anni che verranno. Dalla decrescita della natalità si deve, di fatto, passare alla decrescita della popolazione. Questo sarebbe l'obbiettivo sensato da perseguire in ogni regione, nell'intero paese e sul pianeta. Una politica di riduzione demografica non può prescindere da una opportuna politica che affronti il temporaneo invecchiamento della popolazione non come una calamità, ma come un INEVITABILE fenomeno da governare.

Nessuna altra ipotesi può condurre ad alcunchè che somigli ad una politica sensata. Questo è il realismo, questo è essere pragmatici. Il resto appare come il sogno stralunato di una classe politica che non è in grado di comprendere i fenomeni in cui si è trovata ad operare e vive nel mondo dell'intrattenimento- spettacolo- informazione come se fosse il mondo reale. Tale classe politica non può chiedere il mio voto.

mercoledì 3 febbraio 2010

Il vantaggio dell'India.

Nelle analisi dell'economia globale sono sempre presenti giudizi quasi entusiastici sulle performances di Cina ed India. Ma spesso ricorre un altro giudizio, per esempio espresso da Federico Rampini su La Repubblica la settimana scorsa (non ricordo il giorno); l'India ha
il vantaggio, rispetto alla Cina, di avere una "più rapida dinamica demografica". Tradotto significa che l'India ha il vantaggio di avere una popolazione in crescita. Per gli economisti questo
significa società giovane, competitiva e innovativa, tutti presupposti della crescita. A Rampini veniva il dubbio che tale dinamica potesse portare ad una catastrofe ecologica, tanto di cappello Mr. Rampini, ad altri non viene in mente questa ovvietà.

Ah, avevo dimenticato di segnalare il N.0 del Bollettino di Rientrodolce, si trova qui:
http://www.rientrodolce.org/media/overshoot/overshoot_n0.pdf

venerdì 11 dicembre 2009

La quantità di emissioni è proporzionale al numero di emettitori. Ma a Copenaghen non ne parlano.

Qualsiasi persona di buon senso lo sa. Il numero esorbitante di individui della nostra specie che abita questo pianeta è, insieme al livello esorbitante di consumi della parte più ricca di questi, la causa principale della crisi ecologica in corso. Ma nella mega-conferenza di Copenaghen, dove si fa grande sfoggio di ecologismo alle vongole, questa semplice verità (semplice, ma evidentemente anche molto scomoda) non viene affrontata. Non sarebbe difficilissimo.

Uno studio commissionato da Optimum Population Trust alla London School of Economics ha stimato che una riduzione delle emissioni di 1 tonnellata di CO2 facendo uso del controllo delle nascite (il rapporto parla di family planning) costa 7$ da confrontare con 24$ per l'energia eolica, 51$ per l'energia solare (fotovoltaica) e 57-83$ per il carbone con cattura e immagazzinamento della CO2. E' ovvio che tale cifra sarebbe ancora minore nei paesi industrializzati che sono i principali emettitori procapite. Fare un americano o un europeo in meno aiuta molto più che fare
un africano in meno. Pensiamoci. Save the children, use condom!!!

sabato 5 dicembre 2009

Gli elefanti di Jay Forrester.

Forrester, nato nel 1918, è il padre della dinamica dei sistemi e maestro del gruppo di giovani che, guidato da Donella Meadows, redasse nel 1970 il primo rapporto per il Club di Roma: I limiti dello sviluppo.

Oggi sulla mail list di ASPO è stato inoltrato un suo messaggio che per la semplicità e la forza con cui colpisce i tabù mai affrontati nel dibattito sul cambiamento climatico, mi ha commosso. Lo traduco e pubblico per intero, per chi preferisce l'originale inglese aggiungo anche quello.

Il cambiamento climatico

in questa discussione sul cambiamento climatico e sulla buona reputazione della scienza(1) vi sono due grossi elefanti nella stanza di cui molto pochi si occupano. E sono 1) la crescita della popolazione e 2) l'aumento della produzione industriale procapite. Il cambiamento climatico è solo un sintomo di queste due forze trainanti. La "gente" in Dinamica dei Sistemi (2) dovrebbe sapere che occuparsi dei sintomi è perdente. Tuttavia i sintomi sono più visibili ed è più facile chiamare a raccolta la gente a lottare contro i sintomi, e, in questa situazione, richiamare l'attenzione sulle reali cause sottostanti non è politically correct.Con le due potenti forze che causano la domanda eccessiva sull'ambiente, trascurate e fuori controllo, non c'è quasi speranza di poter annullare i sintomi. Inoltre, l'attenzione sui sintomi tipo il cambiamento climatico, la fame, la penuria di acqua, le guerre per il territorio, ecc, conduce erroneamente le persone a credere che ci stiamo occupando del futuro.

Una delle caratteristiche di un sistema complesso è quello di condurre le persone a combattere su scelte politiche che hanno scarsa influenza nel determinare un cambiamento. Cito alcune righe del mio articolo “Apprendere attraverso la dinamica dei sistemi come preparazione per il 21simo secolo”. Paragrafo 4.2: Politiche di basso-effetto. Azioni inefficaci.“I sistemi complessi differiscono dai sistemi semplici in un altro modo. Nei sistemi semplici le politiche per ottenere risultati migliori sono ovvie e funzionano. Per evitare di bruciarsi le dita su una stufa si tengono le mani lontane dalla stufa. Ma nei sistemi complessi le politiche apparentemente influenti hanno spesso effetti molto scarsi. Quando mi capita di parlare a gruppi di business executive chiedo quanti di loro hanno avuto l'esperienza di affrontare un problema serio, mettendo in atto azioni per correggere la situazione, per scoprire cinque anni dopo che non c'è stato alcun miglioramento. La maggior parte alza la mano.

Forse chi legge ha avuto la stessa esperienza nel settore educativo. La qualità dell'educazione è stata severamente criticata, molti insegnanti hanno cercato rimedi, e spesso poco è cambiato. Io credo che una percentuale molto alta, diciamo il 98%, delle politiche in un sistema (complesso NdT) hanno effetti molto scarsi nel determinare un cambiamento. Semplicemente non hanno peso. Ciononostante la maggior parte dei dibattiti in cui ci si accanisce all'interno delle comunità, delle aziende e dei governi sono intorno a politiche che non hanno alcun effetto. Tali dibattiti sono uno spreco di tempo e di energia. I dibattiti intorno a politiche scarsamente efficaci distolgono l'attenzione dalle poche azioni politiche che potrebbero produrre un miglioramento.”

Jay W. Forrester
Professor Emeritus of Management
Al Massachusset Institute of Technology.

(1) Si fa riferimento al recente scambio di mail fra studiosi del clima hackerati da un sito universitario inglese pubblicati su vari blog e siti internet , che dimostrerebbero la malafede dei climatologi implicati sui dati relativi al riscaldamento globale e sulla loro interpretazione (NdT).
(2) Il messaggio originale è uscito su una mail list di specialisti di dinamica dei sistemi.(NdT)

Climate Change

In this discussion of climate change and the reputation of science,there are two big elephants in the room that very few are addressing.These are population growth and the increase in industrial output percapita. Climate change is only a symptom of the two big driving forces. People in system dynamics should know that addressing symptoms is a losing game. However, the symptoms are more visible; itis easier to rally people behind fighting symptoms; and, in this situation, calling attention to the real underlying causes is politically incorrect. With the two powerful forces that are causing the excessive demands on the environment unaddressed and unrestrained, there is almost no chance of suppressing the symptoms. Furthermore, the focus on symptoms like climate change, hunger, water shortages, wars over land,and many others, misleads people into believing that the future is being addressed. One of the characteristics of a complex system is that it draws people into arguing over policies that have little leverage for causing change. I quote some lines from my paper, D-4895-1, "Learning through System Dynamics as Preparation for the 21st Century." "4.2. Low-Leverage Policies: Ineffective Actions "Complex systems differ from simple systems in another way. In simple systems, the policies to yield better results are obvious and they work. To avoid burning your fingers on a hot stove, you keep away from the stove. But in complex systems, the apparently influential policies often have very little effect. "When I talk to a group of business executives I ask how many have ever had the experience of facing a serious problem, devising policies to correct the situation, and five years later find there has been no improvement. Most will hold up their hands. Perhaps you have experienced the same in education. The quality of education has been severely criticized, many educators have tried remedies, and often there is little change. ......." I believe that a very high percentage, say 98%, of the policies in a system have very little leverage to create change. They do not matter. However, most of the heated debates in communities, companies, and governments are about policies that are not influential. Such debates are a waste of time and energy. Debates about low-leverage policies divert attention from the few policiesthat could lead to improvement. "

Jay W. Forrester
Professor Emeritus of ManagementSloan School, MIT

Grazie professor Forrester!!!

venerdì 24 aprile 2009

Rileggere Malthus

Per il mio articolo ispirato dalla lettura del "Saggio sui principi di popolazione" rimando al blog di ASPO-ITALIA dove è stato pubblicato oggi.

sabato 4 aprile 2009

Si va avanti.

Il fine settimana scorso si è tenuto a Livorno il terzo congresso dell'associazione Rientrodolce che si è data fra altri l'obbiettivo di promuovere un Malthus day.
Le mozioni del congresso si possono leggere qui.