sabato 24 luglio 2010

Scialuppe di salvataggio.



La settimana scorsa è uscito Overshoot N.1 il primo numero del bollettino di Rientrodolce che segue il N.0 pubblicato in gennaio. Quello che segue è l'editoriale di presentazione di questo numero.

Tutto quello che è successo da due anni a questa parte ha confermato in noi la convinzione che sia in atto non una delle tante crisi passeggere, ma un evento storico che possiamo definire come crisi di sostenibilità globale della specie umana. La crisi economico- finanziaria iniziata nell'estate del 2008 non ci appare solo come l'effetto dello scoppio delle bolle causate dal casinò globale, ma uno dei sintomi di questa crisi di sostenibilità. Da questo punto di vista le analisi economiche che prospettano una crisi dell'insieme dei paesi di antica industrializzazione a favore dei paesi in via di sviluppo, Cina e India per primi, ci convincono poco. Sono un modo diverso di dire che il sistema industriale sviluppatosi dal XVIII secolo in poi si può ancora tenere, anche se su nuove gambe. Il paradigma tiene, non sarà Business as Usual (BAU), ma qualcosa di molto simile. Chi sa, chi è bravo, giovane, intraprendente, aggressivo, volonteroso, competitivo, andrà semplicemente a "mordere il mondo" altrove. Una crisi di sostenibilità invece rende necessario, come risposta, un cambio di paradigma. Non ci sono le risorse naturali, non ci sono abbastanza pianeti Terra, affinché sette o otto o dieci miliardi di persone assumano lo stile di vita consumistico. Ci sono molte voci che invocano un tale cambio di paradigma e noi siamo una di quelle. Non sono moltissime le voci che mettono al centro, o all'origine, del problema ecologico (una crisi di sostenibilità è un problema eminentemente ecologico) il problema demografico. Noi lo facciamo. Non basterà certo soddisfare il desiderio di quei 76 milioni di donne che ogni anno denunciano una gravidanza indesiderata di cui parlano Marco Cappato e Carmen Sorrentino nel documento che riportiamo, perché, come dicono giustamente i nostri amici di Demographie Responsable nella petizione che potete leggere su questo numero, fornire i servizi di salute sessuale e riproduttiva non farebbe diminuire il numero di nascite che di 22 milioni all'anno, contro un aumento della popolazione dell'ordine dei 75 milioni annui. Ma sarebbe un primo doveroso passo verso la crescita zero che è ovviamente la prima pietra miliare sulla strada del rientro dolce. Non basterà impegnarsi perché l'ONU e i governi si spendano (e spendano) per permettere a tutti quelli che lo desiderano, e sono milioni di donne e uomini (soprattutto donne) di poter attuare una programmazione familiare che permetta alle donne del terzo mondo di risalire dalla buca di povertà e disperazione da cui a volte si tenta di fuggire per le vie impervie e spesso mortali dell'emigrazione, dando luogo al grande fenomeno delle migrazioni sulle quali si esercitano tutte le possibili retoriche e sulle quali lucrano le mafie di mezzo mondo. Non basterà, e restiamo convinti che l'uso delle bombe mediatiche, nella forma dolce come quelle messe in atto ad esempio dal Population Media Center di Bill Ryerson, saranno uno degli strumenti utilizzabili per convincere uomini e donne che il periodo della conquista è finito e adesso è giunto il momento della responsabilità. A noi piace vederci come una delle componenti delle scialuppe di salvataggio che salveranno dal naufragio la nostra società. Alcuni,anche fra di noi, temono che non ci sarà mai un rientro dolce. Non si può mai dire chi abbia ragione, ma la nostra attitudine è quella di fare ciò che si deve aspettando che avvenga ciò che può. Il rientro dolce non è Rientrodolce, il rientro dolce è la lunga transizione, alcuni preferiscono chiamarla decrescita o decrescita felice, altri transizione sostenibile, altri la vedono come una società in cui il PIL non è più l'unico mezzo di misura del benessere, ma in cui si valutano altri indici come l'Indice di Sviluppo Umano o la Felicità Interna Lorda, altri ancora preferiscono mettere l'accento sul pensiero di alcuni grandi critici delle derive ecologicamente non sostenibili della modernità: Karl Polany, Ivan Illich, Cornelius Castoriadis e vedono la transizione come un ritorno all'economia sostanziale in cui il valore d'uso riprende il posto perduto a favore del valore di scambio ... Non importa che ci siano differenze, quello che è importante è riconoscere un filo conduttore comune, smussare le differenze e nel processo stesso della transizione arricchirsi vicendevolmente di punti di vista diversi, ma concordi. In questo mondo in cui la competizione è entrata a far parte di ogni possibile manifestazione della vita associata e viene enfatizzata ed incoraggiata come strumento salvifico per il ritorno alla crescita, il movimento ambientalista deve presentarsi come un'avventura di collaborazione collettiva. Le scialuppe non saranno la stessa cosa del grande transatlantico che affonda. La questione demografica non esaurisce il problema ecologico e ne siamo pienamente coscienti. Chiunque in questi anni abbia cercato di convincerci ad occuparci solo di popolazione o solo di ambiente non ci ha convinto. L'ecologia è una scienza che si basa sul pensiero sistemico. Tutte le componenti della società umana inserita nell'ambiente naturale devono essere ripensate. Uno dei primi problemi sarà quello di dare energia alle società dopo il picco del petrolio; la promessa rinnovabile rischia di diventare un'illusione se non si da concretezza quantitativa allo sviluppo delle fonti e si non chiude la fase pionieristica per entrare nella fase di produzione massiccia di quell'energia elettrica (la forma prevalente di energia prodotta dalle rinnovabili) che può garantire una transizione post-petrolifera che sia davvero dolce, il fattore propulsivo delle scialuppe di salvataggio insomma. Produrre energia nelle società contemporanee significa creare impianti che producano centinaia e migliaia di MegaWatt (MW) di potenza. La potenza necessaria ad un città in transizione è di questo ordine di grandezza. Abbiamo appreso nelle settimane scorse che il progetto Kitegen, progetto che ci è sempre apparso, fin dall'inizio, come la fonte rinnovabile potenzialmente più promettente proprio per la scalabilità del suo output energetico da pochi MW fino alle migliaia di MW, è entrato in fase di realizzazione, nella versione stem, in due diversi siti. Possiamo allora sperare che, superati i molti ostacoli che ancora si frappongono fra i nostri desideri e l'entrata in funzione del primo impianto, le scialuppe di salvataggio siano prossime ad avere un motore per fare rotta verso lidi sicuri? Questa è la nostra speranza.

Luca Pardi (Segretario di Rientrodolce)

Paolo Musumeci (Presidente di Rientrodolce)

Stefano Bilotti (Tesoriere di Rientrodolce)

2 commenti:

  1. E intanto la BP prosegue nel raschiare il fondo marino alla ricerca del petrolio a rischio :
    iniziano le trivellazioni in profondità nel golfo della Sirte ... a conferma del Picco e degli scenari previsti da RD

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  2. Pur condividendo tutto quello ho letto, resto molto più pessimista. Mi viene in mente quella scena in cui affonda il transatlantico e tutti i passeggeri, presi dal panico, si gettano su quelle poche scialuppe di salvataggio, facendo affondare pure quelle. Temo che nessuno rinuncerà alla sua fetta di torta fino a che non si arriverà al collasso del sistema... Comunque sono con voi...

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