domenica 20 luglio 2014

Un film già visto tante volte, ma come andrà a finire?



Di Jacopo Simonetta.

Mentre fra Israele e Palestina si replica un tragico film già visto chissà quante volte, sempre uguale, anche sulla stampa nostrana si rilancia la polemica fra chi tifa per gli uni e chi per gli altri; su chi sia più colpevole o su chi sia l’aggredito e chi l’aggressore, ecc.   Tutti argomenti che penso sia del tutto inutile discutere in quanto ognuno ha già le sue idee ben radicate
Piuttosto, credo che potrebbe essere interessante fare qualche illazione su come andrà a finire.   Non questa puntata, ché probabilmente finirà come tutte le precedenti; bensì su come finirà la serie.   Voglio dire: continuerà così in eterno?   Oppure ad un certo punto cambierà qualcosa e sarà trovato un accordo vero?   Oppure uno dei due contendenti riuscirà ad annientare l’altro?   Ed in questo caso, presumibilmente chi dei due?
Come sempre quando si cerca di sbirciare attraverso le nebbie del futuro la probabilità di azzeccarci è minimale; queste righe vogliono quindi essere solamente uno spunto per riflettere su alcuni aspetti della questione normalmente trascurati.   Non un pronostico.
Gli elementi in gioco sono tantissimi, ma forse i principali sono: forza militare, forza politica, forza economica.    Allo stato attuale sappiamo quali sono, ma sarebbe interessante capire come l’evoluzione in corso nel sistema globale modificherà lo scenario in questione.
Per prima cosa diamo dunque un’occhiata all’attuale forza relativa dei due contendenti.   
Sul piano militare, Israele dispone di uno dei migliori eserciti del mondo, mentre dall’altra parte si schierano alcune migliaia di miliziani, perlopiù combattenti altamente motivati ed ottimamente addestrati, ma niente di neppur lontanamente comparabile con le forze cui si oppongono.   Teoricamente la guerra dovrebbe risolversi nel giro di pochi giorni ed invece va avanti da decenni.   Come è possibile?
Un primo tassello di questo puzzle è rappresentato dal tipo di forze che si contrappongono.    Nel tempo, Israele si è dotata di una forza militare studiata e strutturata per combattere e vincere una guerra convenzionale con i paesi confinanti.    Ma si trova a combattere una guerra non convenzionale in cui la componente politica è predominante su quella militare.   Semplicemente non possono utilizzare che una parte minimale del loro potenziale bellico perché in un ambiente urbano compatto come Gaza questo significherebbe migliaia e non diecine di morti al giorno; quasi tutti civili.   Se anche volessero (e non è detto che lo vogliano), non possono farlo.   I loro stessi alleati glielo impedirebbero.
Dall’altra parte, Hamas (come nel recente passato e forse in futuro Hezbollah) non ha alcun bisogno di centrare qualche obbiettivo minimamente rilevante.   Solo il fatto di continuare a sparare dei razzi contro un avversario smisuratamente più potente gli assicura la vittoria politica e morale.   Anche se i loro razzi fanno dei buchi per terra o poco più.
Altra asimmetria importante è il rapporto con i civili, propri ed altrui.   Da parte israeliana vige la necessità di garantire la completa sicurezza dei propri cittadini.   Non era così ai tempi in cui i Kibbuzin andavano nei campi con il fucile ad armacollo, ma oggi l’uccisione di un solo israeliano è giudicata un fatto inammissibile e vincola il  governo a reazioni anche spropositate.   D’altronde, se l’uccisione di civili palestinesi è entro certi limiti tollerata dalla comunità internazionale, non c’è dubbio che ogni singolo caduto da parte palestinese favorisce Hamas a tutti i livelli, sia interni che internazionali.   Paradossalmente, mentre per il governo israeliano ogni singolo civile ucciso (proprio od altrui) è un colpo politico, per i suoi avversari più gente muore (propri a ed altrui) e maggiore è il vantaggio politico e di immagine che ne ricavano.   Molti commentatori sostengono anzi che le milizie palestinesi usino scientemente i propri civili come ostaggi.   Di fatto funziona così ed è una cosa vista anche in altri contesti, ma non darei per certo che sia un fatto voluto.   Del resto, durante gli scontri fra Hamas e Al Fatah (2006-2007) la percentuale di civili uccisi fu ugualmente molto alta, malgrado non vi fosse alcun interesse politico in tali morti.
Comunque sia, sul piano militare Israele  non ha la minima possibilità di soperchiare una volta per sempre il nemico; mentre le milizie islamiste non possono neppure ingaggiare seriamente il nemico.   Dunque una situazione di sostanziale stallo, malgrado l’enorme disparità di forze in campo.
Sul piano politico, ho la netta impressione che siano lontani i giorni in cui i governi Rabin e Peres davano l’impressione di cercare davvero un ragionevole compromesso.   La tecnica arafattiana di trattare fino alla soglia di un accordo per poi mandare tutto a monte e ricominciare daccapo è stata efficace nel portare a Gerusalemme governi più o meno legati all’estrema destra religiosa ebraica, cosa che a sua volta ha molto favorito la popolarità delle fazioni estremiste in campo avverso.   Non so se sia stato voluto, ma di fatto l’effetto è stato quello di consegnare entrambi i popoli a delle classi dirigenti che hanno tutto l’interesse a mantenere uno stato di belligeranza cronico che assicura ad entrambi il mantenimento del rispettivo potere.   In sintesi, il migliore alleato politico di Netanyahu è Haniyeh e viceversa.    Una situazione comune anche in altri contesti.
Sul piano internazionale, entrambi i contendenti godono di protezioni potenti, ma molto più intricate di quanto non lasci credere la stampa corrente in quanto molti soggetti (governi e non) sostengono contemporaneamente più d’una tra le fazioni in causa e su entrambi i fronti.   Ma soprattutto le potenze che sostengono i contendenti ne vincolano anche, in una certa misura, l’operato.   Dunque, anche su questo piano, nessuna delle due parti ha la minima possibilità di rovesciare l’altra.   Non può Hamas perché non ne ha la forza; non può Israele perché i suoi alleati più vitali non glielo permetterebbero.
Esiste però un altro piano rilevante: quello economico.    Anche in questo caso a prima vista non c’è confronto possibile fra uno stato dotato di un’economia pienamente industrializzata ed un’organizzazione politico-militare che tira avanti con le rimesse degli emigrati, le tasse che riesce ad esigere da una popolazione perlopiù poverissima ed aiuti da paesi terzi che perseguono comunque scopi diversi da quelli che si pongono i principali contendenti in campo.   Eppure, proprio su questo piano è Hamas ad avere in mano le carte di migliori.   Anche se oggi dei missili di media gittata hanno sostituito (o integrati) i razzi Qassam, ordigni rudimentali estremamente imprecisi, con cui Hamas ha bersagliato il territorio nemico per anni, il fuoco proveniente da Gaza è ancora molto più economico ed efficace nel provocare una reazione che si manifesta invece con sistemi d’arma spaventosamente costosi sia d’acquisto, che di uso.   Un solo missile del sistema “iron dome” costa probabilmente molto di più di tutti i razzi sparati da Hamas nella sua storia, per non parlare dell’oltre 1 miliardo di dollari che ne è costato il suo sviluppo.    E lo stesso dicasi per i costi relativi al far volare un F-16, il costo del munizionamento impiegato, ecc.   Tutto ciò è importante perché porta un notevole contributo al debito pubblico dello stato ebraico (circa il 75% del PIL).
Questo ci porta alle prospettive.   Senza entrare qui in dettagli, lo scenario globale in cui questo conflitto si inserisce è quello “postpicco” cui è dedicata una vasta letteratura cui si rimanda.   In estrema sintesi: riduzione quali/quantitativa delle risorse energetiche con conseguente peggioramento delle condizioni economiche a livello globale, ma in modo non uniforme per i vari paesi e per le diverse classi sociali, con conseguente crescita delle tensioni politiche, sociali e militari.   Contemporaneamente, peggioramento complessivo delle condizioni ecologiche del Pianeta, con particolare riguardo al clima, alla produzione di cibo, alla disponibilità di acqua ed alla pescosità degli oceani.   Un quadro di questo tipo che influenza potrebbe avere sul conflitto israelo-palestinese?
Israele è uno fra gli stati a più alta densità di popolazione del mondo (365 ab/kmq nel 2012), oltre che uno fra quelli a più alto input tecnologico ed energetico; per sopravvivere dipende totalmente dal commercio con l’estero e largamente da aiuti economici da paesi (principalmente dagli USA) che versano a loro volta in situazioni economiche certamente non floride, con tendenza al peggioramento.   Anche senza la guerra, è molto probabile che subirà danni particolarmente gravi dall’insieme dei fenomeni connessi con il procedere della recessione globale e del picco energetico.    In questo senso, può essere efficace la strategia di Hamas di indurre Israele a spese crescenti che non possono sortire l’effetto di annientare il nemico, ma che possono viceversa aumentare la fragilità economica e politica dello stato ebraico.
D’altronde, la situazione dei territori palestinesi ed in particolare a Gaza è già ampiamente drammatica anche senza la guerra, che non può che peggiorarla.   Anche in questo caso abbiamo di fronte un “quasi stato” che vive sostanzialmente di aiuti dall’estero, in un contesto in cui tutti i suoi principali sponsor  stanno affrontando problemi economici e politici crescenti, sia in ambito interno che estero.   A cominciare dalle petrocrazie, anch’esse strette fra crescita demografica, riduzione o stagnazione delle produzioni, crescenti tensioni interne ed internazionali.   Non è difficile prevedere un progressivo inaridimento di molte delle principali fonti di finanziamento attuali.
Sul piano politico internazionale, già attualmente il conflitto in questione è slittato molto indietro nella lista delle priorità delle potenze straniere a vario titolo coinvolte: l’espansionismo cinese, il revanscismo russo, lo sgretolamento americano, la possibile dissoluzione dell’Europa e dell’India, il sempre più serio pericolo di una guerra aperta fra Arabia Saudita ed Iran sono solo alcune delle preoccupazioni che stanno catalizzando l’attenzione delle cancellerie mondiali.   E’ probabile che negli anni a venire la guerra israelo-palestinese perda ulteriormente d’interesse per i governi e le opinioni pubbliche mondiali, se non come pedina nel quadro del “grande gioco” attorno alle residue riserve di greggio di buona qualità.
E dunque,  quali potrebbero essere degli scenari realistici?   Nel breve termine, credo che semplicemente non cambierà nulla, anche se è bene ricordare che spesso eventi storici importanti prendono le mosse da eventi comuni.   Quello di Mohamed Bouazizi non è stato né il primo, né l’unico suicidio di protesta col fuoco, ma fu la scintilla che scatenò una serie di rivolte destinate a cambiare il quadro geo-politico mondiale (anche se non nel senso sperato, come spesso accade).  
Inoltre, il prossimo gradino discendente nelle economie dei principali paesi impegnati in questo scacchiere (USA, EU e petrocrazie) avrà probabilmente conseguenze molto gravi sull’economia israeliana e devastanti su quella palestinese.  
Ed allora?   Puramente a titolo di congettura, avanzerei tre scenari forse possibili, ma non ugualmente probabili.
1 – Cambiamento radicale delle politiche israeliana e palestinese.   In teoria, potrebbero entrambi capire che collaborare è l’unica strada per mitigare (anche se certo non evitare) la durezza dei tempi a venire.   Ma la dose di odio e timore reciproci sapientemente coltivata nei decenni su entrambi i fronti rende una tale prospettiva quanto mai improbabile.  
2 – Guerra totale.   A Cylon la guerra fra Cingalesi e “Tigri Tamil” è durata oltre 25 anni e per molti aspetti è stata simile a quella fra israeliani e palestinesi, con forze governative soverchianti impossibilitate ad usare pienamente il loro potenziale per la costante presenza di civili in prima linea.   Ma nel 2009 l’esercito cingalese attaccò i territori controllati dai ribelli sparando con tutto quello che aveva su chiunque indiscriminatamente: miliziani, ostaggi e civili; tamil e cingalesi.   Il numero dei morti non è mai stato accertato, ma sicuramente fu di parecchie diecine di migliaia di persone; la struttura militare delle Tigri fu spazzata via e la popolazione tamil supersite fu in gran parte internata in campi di concentramento dove molti morirono poi di stenti. http://www.ilpost.it/2013/10/03/foto-tamil-sri-lanka-andrea-kunkl/
Potrebbe una cosa simile ripetersi in Palestina?   Per adesso sicuramente no.   Non lo vorrebbero la maggior parte degli israeliani e non lo permetterebbero gli USA, ma cambiando il quadro internazionale e peggiorando le condizioni di vita su entrambi i fronti, non è da escludersi un’escalation di violenza al momento senza precedenti in zona.
3 – Recrudescenza progressiva.   Una terza possibilità è che con il tempo gli israeliani si vedano costretti a ridurre il loro budget della difesa, con conseguente abbassamento dello standard tecnologico e dunque del divario fra le forze in campo.   Un simile scenario aumenterebbe considerevolmente le possibilità operative di Hamas e forse è questa la loro strategia.   Ma non credo che sarebbe favorevole per la popolazione civile su entrambi i fronti.   Infatti, se i soldati con la Stella di Davide si trovassero costretti a combattere casa per casa, con tecniche ed armi non molto diverse da quelle del nemico, è probabile che su entrambi i fronti il numero di atrocità gratuite aumenterebbe, generando una spirale di vendette al cui confronto quella attuale potrebbe sembrare una situazione pacifica.   La guerra attuale potrebbe insomma diventare simile alla guerra civile siriana.
E le armi nucleari?   L’arsenale israeliano è stimato fra gli 80 ed i 200 ordigni, ma in realtà tutto si basa su indiscrezioni e stime che il governo non ha mai né confermato, né smentito proprio per disporre di una deterrenza nucleare senza però assumersi gli impegni internazionali solitamente connessi con lo status di “potenza nucleare” e (forse) senza neppure accollarsi le spese iperboliche connesse con la realizzazione e la manutenzione di queste armi.
Dunque non si sa se questo arsenale davvero esista ed, eventualmente, in quale misura sia operativo; ma se esistesse, in tempi di progressivo collasso economico Israele si troverebbe, come altri stati, nell'imbarazzante situazione di disporre di armi che non si potrebbero più permettere di mantenere, ma che non potrebbero neppure smantellare (sempre per i costi eccessivi) e nemmeno abbandonare (per i rischio che qualcun altro le trovi).   E neppure utilizzare perché si tratta di armi destinate unicamente alla deterrenza nei confronti di potenze militarmente preponderanti; attualmente solo l’Iran potrebbe forse rivestire questo ruolo, ma personalmente ritengo molto più possibile una guerra fra Iran ed Arabia Saudita per il controllo del petrolio iracheno, piuttosto che un attacco ad Israele che ho l’impressione interessi sempre meno all'opinione pubblica araba.   Non per un sopravvenuto desiderio di pace od altro, ma semplicemente perché pressata da problemi molto più contingenti e direttamente sulla propria pelle (fame, disoccupazione, abnormi disparità economiche, razionamento dell’acqua, ecc.).
In definitiva, se il governo israeliano spera di spingere la popolazione palestinese a ribellarsi ad Hamas ed accettare un trattato molto peggiore di quello a suo tempo rifiutato da Arafat, credo che si sbagli di grosso. L'isolamento, l'eccesso nelle rappresaglie e la progressiva usurpazione di territorio con sempre nuovi insediamenti ebraici stanno sortendo, mi pare, l'effetto esattamente contrario.   Gli israeliani dovrebbero riflettere bene sul fatto che la loro enorme superiorità militare tenderà a ridursi; che faranno quando non saranno più in grado di mantenere la macchina bellica attuale?
Quanto ai dirigenti palestinesi, dovrebbero aver capito da un pezzo che l'unica cosa che possono ottenere con i loro attacchi sono delle rappresaglie.   E se il loro scopo è quello di riportare la loro battaglia sulle prime pagine dei giornali internazionali, dovrebbero considerare che il numero di morti palestinesi necessario per raggiungere tale scopo sarà sempre più alto.   Ne vale pena?   Per ottenere cosa?   Se il loro scopo è vedere la dissoluzione di Israele è probabile che basti aspettare: tutti gli stati attuali finiranno col dissolversi e le società con il riorganizzarsi diversamente.   Se il loro scopo fosse invece quello di vedere sorgere uno stato palestinese, ogni giorno che passa ed ogni razzo che parte allontana, anziché avvicinare tale prospettiva.








16 commenti:

  1. Un interessante articolo che termina però - e non potrebbe essere diversamente - in un'aporia: non s'intravede praticamente una soluzione in tempi non biblici. La crisi a cui andrà o dovrebbe andare incontro Israele (e altri Stati) noi probabilmente non la vedremo (dico noi anzianotti, forsi i più giovani sì). Nel frattempo lo stillicidio di morti dall'una e dall'altra parte continuerà sine die (ovviamente con maggiori perdite tra i palestinesi). La comunità internazionale assiste impotente e può fare ben poco o nulla, anche perché ogni attacco al governo d'Israele è considerato espressione di antisemitismo sempre latente. Personalmente sono ormai - mi spiace dirlo - disinteressato al conflitto arabo-israeliano. Sono rimasto sorpreso dal violentissimo attacco di G. Vattimo ad Israele, paragonato al regime nazista.
    Ho sempre avuto il sospetto, anzi la convinzione che Israele volesse creare il fatto compiuto con l'annessione strisciante della Cisgiordania e del Golan: sono passati quasi 50 anni dalla Guerra dei sei giorni, mezzo secolo! Saddam è stato fatto sloggiare in quattro e quattr'otto dal Kuwait, con un dispiegamento di forze incredibile.
    L'unico paese che può fare davvero pressione su Israele sono gli USA, ma non vogliono e/o non possono: Israele, un piccolo paese di circa 6 milioni di abitanti, ha il quarto esercito del mondo con in più l'atomica, e può per il momento ancora resistere ad eventuali pressioni americane - che del resto sono molto blande. La continua spola dei ministri degli esteri americani - già con Kissinger - è semplicemente ridicola. Israele si è reso militarmente indipendente, anche senza atomica: potrebbe condurre vittoriosamente una guerra su più fronti (naturalmente con costi elevati). Ma indipendente fino a un certo punto naturalmente.
    Facit: non c'è soluzione, nei tempi brevi. In quelli medio-lunghi saremo tutti morti.


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    1. Condivido il commento di Sergio in tutto, tranne che per un particolare. I tempi per la dissoluzione di parecchi stati potrebbero non essere così lunghi, anche se di sicuro non sarà per domani o per l'anno venturo. Personalmente penso che fra il 2020 ed il 2030 cominceranno a succedere cose davvero grosse. Se interessa sapere perché penso questo, lo ho spiegato per sommi capi qui: http://ugobardi.blogspot.it/2014/02/sbirciare-il-futuro.html

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    2. Economia di mercato e concorrenza (spietata) per conquistare mercati battendo e, magari meglio ancora, eliminare la concorrenza - per fare che? Innanzi tutto per assicurarsi quei beni rari e indispensabili (petrolio, acqua, uranio, terre rare ecc.), indispensabili alla sopravvivenza e per continuare a crescere ... L'UE voleva diventare la prima economia mondiale, grazie alle sue capacità e a un mercato di 500 mln di abitanti (600 con la Turchia), scalzando persino gli USA. Ma non ha fatto i conti con la Cina. Intanto, invece dell'azzeramento (!!!) della disoccupazione entro il 2010, l'UE è in un mare di guai con una disoccupazione giovanile spaventosa e non riassorbibile.

      Non sono più socialista come da giovane, riconosco i vantaggi del mercato (che però non è sempre libero), ma questa storia della competitività per stracciare la concorrenza non va più in un mondo sovrappopolato e in più spinto a consumare a più non posso (senza i consumi niente crescita e benessere, lo dice anche Giuliano Ferrara). Io ricordo che la sinistra denunciava una volta la "società dei consumi". Oggi sinistra e persino i Verdi vogliono anche loro una sola cosa: crescita e consumi, senza dei quali la piena occupazione è una chimera. Consumi, consumi, consumi. Certo anch'io, per quanto viva modestamente (non prendo l'aereo, non ho mai posseduto un telefonino, non ho mai inviato un SMS, non so nemmeno come si fa, detesto tutti questi imbecilli con lo smartphone ovunque - penso anche al cesso e quanto scopano), sono per quelli del terzo mondo (credo non si dica più così, terzo mondo deve essere un espressione politicamente non corretta) devono considerarmi un fottuto occidentale straricco (la mia impronta ecologica è ahimè elevata rispetto alla loro).

      Barbara Spinelli diceva giorni fa che l'UE deve lanciare dei nuovi grandi piani di sviluppo (ma cosa? nuovi trafori alpini, mille ponti di Messina? Nuovi prodotti - droni per tutti magari?).
      Intanto senza petrolio potremmo tutti spararci, anche Barbara Spinelli.

      Gli attuali 7,2 e presto 8 mld di voraci cavallette umane hanno bisogno innanzi tutto di cibo e acqua (e senza petrolio te li puoi sognare). Cibo e acqua - e anche altre cose (abitazione, istruzione, sanità) - non possono dipendere dalla competitività, dalla concorrenza.

      Qui bisogna finalmente parlare di cooperazione invece d'insistere su concorrenza, spirito d'innovazione, competitività, crescita e PIL. Perché TUTTI i dieci miliardi di voraci cavallette umane vogliono almeno mangiare e bere e mi sembra che ne abbiano il diritto.

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  2. E se ci fosse ANCHE questo problema?
    http://www.iltempo.it/esteri/2014/07/17/la-guerra-del-gas-dietro-l-inferno-hamas-trattava-con-gazprom-1.1272120

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    1. Possibilissimo, anche se il fatto che Israele dispone di una flotta e Hamas no mi pare che ponga questi ultimi fuori gioco. Fra l'altro, fino ad ora sono considerati un gruppo terroristico e quindi un soggetto che non può fare accordi commerciali ufficiali con chicchessia. Li può però fare di sotto banco e la pacificazione con l'autorità nazionale (leggi al Fatah) potrebbe anche avere a che fare con quello che dici.
      In questo caso la tempistica della crisi potrebbe essere coerente con l'ipotesi che riporti.

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  3. Si Daniela, c'è sempre qualcosa di materiale dietro. Io non credo mai molto ai conflitti ideologici ed entnico religiosi. La situazione è complessa, c'è il gas, l'acqua ecc. un'area geografiche con più alta densità di popolazione rispetto alla capacità di carico locale. Una condizione ideale per ogni tipo di conflitto.

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  4. Veramente notevole questo articolo, per lucidità di analisi e capacità di sintesi.
    Da tutto questo direi che i palestinesi hanno un unico vero vantaggio, quello di poter alimentare la guerra a costi molto più bassi. Solo Israele ha la possibilità di dare il colpo del ko, ma, come giustamente è stato scritto da Jacopo, la stessa maggioranza della popolazione non lo vuole, ancor prima degli americani. E il problema sta qua. Come non capire che queste guerre non convenzionali non si risolvono con operazioni convenzionali, come quella in corso? Servono solo a logorarsi. Se uno si fa un arsenale come quello, deve (dovrebbe) essere pronto ad usarlo. La situazione sul campo non è convenzionale, distinguere a Gaza fra civili e militari è impossibile e insensato e Israele ha bisogno dello scenario 2. Spero proprio che non pensi davvero a spingere alla rivolta ad Hamas, perché sarebbe pura follia.

    "Perché TUTTI i dieci miliardi di voraci cavallette umane vogliono almeno mangiare e bere e mi sembra che ne abbiano il diritto", caro Sergio, su questo non sarò mai d'accordo con te. Neanche se la bomba demografica fosse stata ovunque equamente ripartita. La dichiariazione universali dei diritti umani che prevede questo diritto per il solo fatto di esistere è una castroneria, per esempio. Dato che qui non si parla di un interesse tutelabile con un'azione legale, questa definizione è un nonsense, non può esserci diritto al cibo, così in assoluto. L'unico diritto è di chi ha pagato per ricevere tot cibo, verso il suo debitore. Come possiamo cooperare con chi, infischiandosene di tutto e tutti, procrea e invade spazi che non sono suoi? Fino a quando l'opinione pubblica occidentale non si sveglia - mai, naturalmente - la raccomandazione più valida resta quello di Stephen Emmott: "Teach my son to use a gun".

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    1. Caro Francesco, sui diritti umani credo che possiamo intenderci: la loro sfera è continuamente ampliata e la cosa non mi va. Adesso sono addirittura diritti umani inalienabili la genitorialità, l'eterologa e l'utero in affitto. Qui siamo ormai alla demenza pura. Di doveri nessuno parla, per es. di non accattonare dalla collettività, di non figliare à gogo e farsi poi mantenere dagli altri. Anche la leva è stata abolita, le tasse se non hai soldi, poverino, non le paghi, te le pagano gli altri. Mi sembra che ci siano ormai solo diritti, in natura inesistenti.

      E tuttavia. Non possiamo eliminare i già nati (forse ci penserà la natura). È vero che già sei miliardi di cavallette non sono sostenibili alla lunga (e ormai siamo lanciatissimi verso i 10-11 miliardi senza che nessuno faccia una piega). Ma non possiamo usare metodi nazisti per sfoltire il gregge umano. Perché quei metodi possono usarli anche gli altri contro di te, contro di noi. Se gli islamici avessero l'atomica l'userebbero, non dubito (occhio al Pakistan!). Proporrei perciò, invece di puntare su competitività e crescita, il mantra ormai universale, di cooperare per quanto possibile. Cominciando dalla demografia. Leggevo ieri che l'Italia avrà bisogno di 11 mln di africani entro il 2020 a causa dell'invecchiamento degli italiani. Qui siamo proprio fuori di testa.

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    2. Finalmente qualcuno che si ricorda dei doveri!
      "I diritti maturano dai doveri compiuti" (Mazzini).
      Quanto ai diritti umani penso che alcuni effettivamente esistano e dovrebbero essere rispettati, ma tutti quelli relativi al consumo di risorse (es. diritto al cibo, diritto all'acqua, ecc.) dovrebbero contenere la dizione "entro il limiti di sostenibilità). In altre parole, posso sostenere che 4-5 litri di acqua al giorno siano un diritto, ma certamente non 100 e men che meno una quantità a priori imprecisata.

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  5. Su tutto sono d'accordo, tranne quando dici che non possiamo usare metodi nazisti, se vogliamo chiamarli così.
    Farei una distinzione. In MO l'Occidente ha sempre dimostrato una debolezza enorme, e dentro ci metto anche gli israeliani. Quelle cretinate di paragoni fra ebrei e terzo Reich non meritano tante parole, come anche i toni più soft, le lamentele del tipo "pietre contro pallottole". Se uno ha le pietre per fare la guerra, non si deve mettere contro chi può sparare colpi veri. Ma non può pretendere, lui o chi lo spalleggia ideologicamente, che chi ha dei mezzi superiori vi rinunci per una sorta di fair play del caciocavallo. Stessa cosa quando sparano dai balconi e poi non si dovrebbe rispondere per il rischio di vittime civili, una roba dell'altro mondo. Che si tratti degli israeliani a Gaza, o degli americani in Iraq, quando stavano là, io ho visto solo scarso senso della natura del problema e inconsistenza dell'azione. Avrebbero dovuto premiare i secondini di Abu Graib, non punirli. L'opinione pubblica liberal deve andare a farsi fottere. Stessa cosa quando avevano Al Sadr in pugno e si ritirarono, stessa cosa quando hanno lasciato che si approvasse quella robaccia che è la costituzione irachena. Il compianto Luigi De Marchi aveva proposto di bonificare l'Islam con la diffusione dei "degeneri" costumi del Satana d'occidente, attraverso i media, e aveva ragione da vendere. Un lettore cretino del suo blog (leggero sospetto, doveva essere un cristianuccio) gli chiese: Prof., esportiamo la nostra spazzatura? Sì, quella ci voleva. Invece niente. E questi hanno fatto tutto sto ambaradan per ritrovarsi al punto in cui sono oggi, ma allora meglio lasciare i dittatori laici alla Saddam o alla Gheddafi (che pure umanamente mi facevano schifo), almeno erano un baluardo contro la sharia. Ora questi altri, possibile che non capiscano che a Gaza, con questi piluccamenti, non risolveranno mai niente? Il fatto è che, se ad essere marcio è il singolo, possiamo anche darlo in mano al boia, come per Saddam; se è tutto un popolo, ah no, niente da fare, non può essere. Questi sono quelli che esultavano per l'undici settembre. Zosimo li chiamava "pessimo popolo" già ai suoi tempi, e non aveva visto che abominio di religione si sarebbero ritrovati. Qui sì, io direi guerra totale, anche se non significasse atomica. Ma smetterla di piangere per i civili, parola senza senso in quel mondo.
    In chiave globale, invece, occorrerebbe un virus, fra tutto quello che mi è capitato di leggere, mi sembra l'ipotesi migliore, non l'atomica. Certo che potrebbero usare anche loro qualsiasi metodo contro di noi. Ma io sto parlando di una guerra, va da sé che il quieto vivere finirebbe. Finirà comunque, prima o poi... il punto è se uno sa immaginarsi il dopo. Perchè allo stato attuale, non so tu caro Sergio, io non ci riesco.

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    1. Durante il XX secolo l'Europa ha avuto le due guerre più devastanti della storia, intercalate da un'epidemia di tutto rispetto, eppure ha avuto il massimo di crescita demografica mai registrato. Non credo che guerre ed epidemie siano efficaci nel controllo della popolazione sui tempi lunghi. In genere è la fame che limita le popolazioni animali, anche umane. Bisognerà vedere cosa accadrà davvero lungo la fase discendente dell'energia disponibile.
      Jacopo

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  6. Personalmente, e lo dico con dispiacere, data la simpatia che ho senore provato per quel piccolo stato coraggioso, credo che la sorte ultima di Israele sarà di essere spazzata via e sommersa dalle popolazioni circostanti.
    In fondo la sua esistenza rappresenta una notevole anomalia geopolitica (voluta) e la sorte di queste anomalie è sempre quella di essere, prima o poi, eliminate dalla storia (sul punto mi rifaccio, in particolare, alle teorie di Huntington).
    Non appena il costo enorme del proprio sistema difensivo verrà minato irreversibilmente dalla crisi ecologica in arrivo, i suoi scrupoli e l'asimmetria demografica li sommergeranno definitivamente.
    Spero ovviamente di sbagliarmi.

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    1. In effetti la demografia lavora contro Israele - che però ha l'atomica e il quarto esercito del mondo. Si dice che l'atomica è un'arma spuntata perché non si può impiegarla. Eppure si continuano a fabbricare e a "migliorare" queste armi (che fine ha fatto la bomba al neutrone, che uccide ma non devasta e contamina l'ambiente?). Servono alla deterrenza, ma solo se si è decisi ad usarle, in casi estremi naturalmente. Magari cominceranno India e Pakistan. Ci sono 4000 atomiche pronte per l'uso ... e noi ci preoccupiamo del PIL!

      "... verrà minato irreversibilmente dalla crisi ecologica in arrivo."

      Dai sempre per scontata questa crisi, io non so.

      P.S. Perché "piccolo Stato coraggioso" Israele? Lotta per la sopravvivenza, ma è normale, non ci vuole coraggio (e senza l'appoggio economico oltre che militare degli USA non sarebbe sopravvissuto). La Germania poi versa ancora a Israele riparazioni di guerra ...

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    2. Mah, sai com'è, la simpatia è una cosa più di istinto che di ragionamento.

      Non sapevo delle riparazioni di guerra da parte della Germania, il che è un ulteriore anomalia, visto che viene pagato uno stato che la guerra non l'ha fatta: diciamo che viene risarcito uno stato (nuovo) per risarcire un popolo.

      Quanto ai tuoi dubbi sulla crisi ecologica in arrivo, direi che tutti noi frequentatori di questo blog siamo sostanzialmente convinti della sua inevitabilità, anche se - ovviamente - saremmo tutti ben lieti di sbagliarci....

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    3. "... crisi ecologica in arrivo, direi che tutti noi frequentatori di questo blog siamo sostanzialmente convinti della sua inevitabilità ..."

      Io invece temo che i padroni del vapore riusciranno in qualche modo a restare padroni e a creare una macchina mondiale di dieci miliardi d'individui produttori e consumatori interscambiabili, in un mondo senza democrazia, senza natura, ma in qualche modo funzionante, insomma un mondo artificiale e secondo la nostra visione naturalmente orribile, insomma alveari o formicai umani abbastanza ben organizzati come lo sono appunto i formicai. Ci vorranno certamente quantità enormi di energia (ma forse arriverà davvero questa fusione nucleare). Poi grazie all'ingegno umano sapremo riconvertire tutti i rifiuti in materiali riutilizzabili (scacco all'entropia!). Non è una bella visione e forse vaneggio, ma forse non vado completamente errato. Certo ci vorranno tanti depuratori molto sofisticati ...
      Scusa, ma in Italia ci sono i depuratori? Città come Torino Milano Roma hanno depuratori sufficienti? Non lo so, chiedo. Napoli sicuramente non ce li ha, scarica tutto a mare ...

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  7. Penso che le stato di Israele, come è oggi strutturato, non durerà ancora a lungo per il motivo che accenna Lumen. ma spazzar via gli ebrei è un'altra cosa che non se accadrà, anche perché ho l'impressione che sia una cosa che interessa sempre di più ai palestinesi, ma sempre di meno agli arabi. In questa fase l'uso di Israele come nemico comune per condensare alleanze strategiche più o meno pan-arabe mi pare decisamente tramontato. Potrebbe risorgere, ma potrebbero anche accadere cose molto diverse: per esempio (a titolo di pura illazione) Israele potrebbe trovarsi un protettore diverso dagli USA (la Cina? oppure la Russia come era nel '48?). Oppure stati arabi al collasso potrebbero trovare in Israele un alleato prezioso (forse è già successo). Oppure disintegrandosi le strutture statali in tutta la zona, le società che si riorganizzerebbero potrebbero seguire logiche molto diverse da quelle attuali. Ecc. Ma è pura fantapolitica, il duro fatto attuale è che questa è una guerra in cui entrambi sono perdenti, anche se i palestinesi con molti più morti e molta più miseria.

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